Biografia di Gabriele d’Annunzio

L’ESTETA
Gabriele d’Annunzio nacque a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese. Egli studiò nel collegio Cicognini di Prato, una delle scuole più aristocratiche del tempo in Italia. Precocissimo, esordì a sedici anni con un libretto di versi, Primo vere, che suscitò un certo interesse.
A diciotto anni, raggiunta la licenza liceale, si trasferì a Roma per frequentare l’università che presto abbandonò per vivere una vita mondana e nelle redazioni di giornali.
Infatti, per alcuni anni, esercitò la professione di giornalista collaborando per alcuni giornali, soprattutto “La Tribuna” di Roma, con articoli di cronaca mondana ma anche di letteratura. A Napoli, trasferitosi per sfuggire ai creditori, scrisse sul “Mattino”, un importante giornale fondato da Matilde Serao.
Attraverso la sua produzione di versi e le sue opere narrative, acquisì subito notorietà in campo letterario. Molto spesso le sue opere suscitavano scandalo per i contenuti erotici. Anche la sua vita fatta di continue avventure galanti, lusso e duelli fu altrettanto scandalosa. Sono gli anni in cui d’Annunzio si crea la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore che rifiuta inorridito la mediocrità borghese per rifugiarsi nel mondo dell’arte.

imageIL SUPERUOMO
Questa fase estetizzante della vita di d’Annunzio attraversò una crisi negli anni Novanta. Lo scrittore cercò nuove soluzioni e le trovò in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirandosi alle teorie del filosofo Nietzsche. Comunque, per il momento, all’azione si accontentava di sostituire la letteratura ed il superuomo restava un vagheggiamento fantastico, di cui si nutriva la sua produzione poetica e narrativa.
Nella realtà, d’Annunzio puntava a creare l’immagine di una vita eccezionale sottratta alle norme del vivere comune. Si ricorda la villa della Capponcina sui colli di Fiesole, dove d’Annunzio conduceva una vita da principe tra oggetti d’arte, stoffe preziose, cavalli e levrieri. A creargli intorno un alone di mito contribuirono anche i suoi amori, specialmente quello che lo legò alla grandissima attrice Eleonora Duse il 1882 a Roma.
In realtà, nel disprezzo per la vita comune e nella ricerca di una vita d’eccezione, d’Annunzio era strettamente legato alle esigenze del sistema economico del tempo: con i suoi scandali voleva mettersi in primo piano nell’attenzione pubblica per vendere meglio i suoi prodotti letterari. Paradossalmente, il culto della bellezza ed il vivere inimitabile, superomistico, risultavano essere finalizzati al loro contrario, a ciò che d’Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro e le esigenze del mercato. Anche se era ostile al mondo borghese, in realtà era legato alle sue leggi. E’ una contraddizione che non riuscì mai a superare. Ma, d’Annunzio vagheggiava anche sogni di attivismo politico.

LA RICERCA DELL’AZIONE: LA POLITICA E IL TEATRO
Per questo, nel 1897, tentò la vita da parlamentare, come deputato dell’estrema destra, in coerenza con le idee espresse nei suoi libri, in cui disprezzava i principi democratici ed egualitari. Il suo sogno era quello di restaurazione della grandezza di Roma e del dominio di una nuova aristocrazia. Ciò non gli impedì, nel 1900, di passare allo schieramento di sinistra.
Cercando uno strumento con cui agire più direttamente sulle folle, d’Annunzio a partire dal 1898, si rivolse anche al teatro che poteva raggiungere un pubblico più vasto. Ma i sogni attivistici ed eroici erano destinati a restare confinati alla letteratura. Nonostante la sua fama stesse toccando punte “divistiche”, sebbene il dannunzianesimo, a causa dei creditori inferociti, nel 1910 fu costretto a fuggire dall’Italia e a rifugiarsi in Francia.

LA GUERRA E L’AVVENTURA FIUMANA
L’occasione tanto attesa per l’azione eroica gli fu offerta dalla Prima guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto d’Annunzio tornò in Italia ed iniziò un’intensa campagna interventista con le radiose giornate di maggio.
Arruolatosi volontario, attirò nuovamente su di sé l’attenzione con imprese clamorose, la “beffa di Buccari” (un’incursione nel golfo del Carnaro, in Istria, con una flotta di motosiluranti), il volo su Vienna.
Nel dopoguerra d’Annunzio si fece interprete dei rancori per la “vittoria mutilata” che fermentavano tra i reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume. Scacciato con le armi nel 1920, sperò di proporsi come “duce”, ma fu scalzato da un più abile politico, Mussolini. Il fascismo poi lo esaltò come padre della patria, ma lo guardò anche con sospetto, confinandolo praticamente in una villa di Gardone, che d’Annunzio trasformò in un mausoleo eretto a se stesso ancora vivente, il “Vittoriale degli Italiani”.
Qui trascorse ancora lunghi anni, ossessionato dalla decadenza fisica e vi morì nel 1938.

Pubblicato da bmliterature

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