Biografia di Vittorio Alfieri

Ritratto_di_Alfieri_François-Xavier_FabreVittorio Alfieri nacque ad Asti nel 1749, da una famiglia della ricca nobiltà terriera. Rappresenta la figura dello scrittore che, grazie alle cospicue rendite, può dedicare tutto il suo otium alla letteratura. Della nascita nobile infatti Alfieri si compiaceva, perché, garantendogli l’indipendenza economica, gli consentiva di non essere subordinato a nessuno e di potersi mantenere libero da ogni forma di servitù. Sin dagli anni dell’infanzia si rivelò in lui una tendenza alla malinconia e alla solitudine, unita però ad impeti ribelli. A nove anni fu mandato a compiere gli studi presso la Reale Accademia di Torino, dove convenivano molti giovani della nobiltà piemontese, che aveva radicate tradizioni militari. Più tardi diede giudizi durissimi sulla formazione che vi aveva ricevuta, arida e ripetitiva, ispirata a modelli culturali del tutto antiquati.
Uscito dall’Accademia, compì numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa, che si protrassero per ben cinque anni. Visitò prima le principali città italiane, poi si recò a Parigi, in Inghilterra,  Olanda, Austria, Prussia, Danimarca, Svezia e Russia. L’uso dei viaggi si inseriva nello spirito cosmopolita e nell’ansia di conoscenza che erano propri dell’età dei Lumi. Ma i viaggi di Alfieri non rientravano in questo spirito illuministico: il giovane non si spostava indotto dalla curiosità di vedere, di conoscere luoghi, ma come spinto da una smania febbrile di movimento, da un’irrequietezza continua, inappagabile, che non gli consentiva di fermarsi in alcun luogo, ed era perpetuamente accompagnata da un senso di scontentezza, di noia, di vuoto e di cupa malinconia. Questa scontentezza, questa inquietudine non avevano cause precise: era come se il giovane inseguisse qualcosa di ignoto e inafferrabile che gli sfuggisse continuamente davanti.
Si delinea così, già negli anni giovanili, il profilo di un animo tormentato. Più tardi infatti lo scrittore stesso, nella sua opera intitolata Vita, interpreterà questa scontentezza come il bisogno di trovare un fine sublime intorno a cui ordinare tutta l’esistenza, e l’irrequietezza come percezione dolorosa del vuoto di una vita che non riesce ancora a intravedere questo fine totalizzante. Esso sarà poi identificato da Alfieri con la vocazione poetica.

fjords-beautiful-imageIn questi viaggi, aveva in realtà potuto accumulare una concreta esperienza delle condizioni politiche e sociali dell’Europa contemporanea. E’ l’Europa dell’assolutismo, e nel giovane appassionato e ribelle la “tirannide” monarchica provoca reazioni negative. Quasi nulla di ciò che vede gli piace, per lo più prova insofferenza e repulsione. Una reazione più positiva suscitano in lui i paesi dove sussistono maggiori libertà civili, l’Inghilterra, l’Olanda. Ma ciò che lo affascina sono soprattutto i paesaggi desolati, selvaggi e maestosi, le selve della Scandinavia, col loro “vasto indefinibile silenzio” che gli ispira “idee fantastiche, malinconiche ed anche grandiose”: in questi paesaggi egli proietta già romanticamente il suo io.

Ritornato a Torino conduce quindi la vita oziosa di un “giovin signore”, chiuso in una solitudine inerte che ingigantisce la sua scontentezza e inquietudine. La depressione è ulteriormente accresciuta da un “tristo amore”, una relazione con la marchesa Gabriella Turinetti di Prié, che dal giovane è sentita come un giogo malvagio, causa di “infinite angosce”, ma da cui egli non riesce a liberarsi.
L’unica attività che gli si offre è quella letteraria. Nel 1768 aveva cominciato a leggere, dedicandosi soprattutto agli illuministi francesi, Montesquieu, Voltaire e Rousseau, dando fondamenti filosofici al suo istintivo odio antitirannico.
A Torino Alfieri fonda nel 1772, con alcuni amici, una sorta di società letteraria, per cui scrive alcune “cose facete (stupide)”, come l’Esquisse du jugement universel (Schizzo del giudizio universale), satira della società nobiliare ispirata ai modi di Voltaire, stesa in francese.

Nel 1775 Alfieri colloca la svolta fondamentale, l’illuminazione destinata a dare un senso alla sua vita, la sua “conversione” letteraria. L’anno prima aveva abbozzato una tragedia, Antonio e Cleopatra, dimenticandola subito dopo. Ritornatogli in mano il manoscritto per caso, egli scopre la somiglianza tra la propria relazione con la Turinetti e quella tra Antonio e Cleopatra, e si rende conto di come proiettare i propri sentimenti nella poesia costituisca l’unico mezzo per trovare un superamento dei propri tormenti.
La tragedia viene rappresentata al teatro Carignano di Torino ottenendo grande successo. In questo episodio Alfieri scorge il primo manifestarsi della sua vocazione di poeta tragico. Da quel momento ritiene di aver trovato lo scopo capace di riempire la sua vita vuota e di darle un senso.
Alfieri e la contessa d'AlbanyData l’insufficienza dei suoi primi studi, gli è però indispensabile munirsi dell’adeguato bagaglio culturale: si immerge nella lettura dei classici latini e italiani, si applica allo studio della lingua italiana per impadronirsi di un linguaggio adatto alle tragedie che intende scrivere, e giura di non proferire più una sola parola di francese. Per meglio far proprio l’italiano, soggiorna a lungo in Toscana, a Pisa, a Siena, a Firenze. Qui conosce Louise Stolberg, contessa di Albany, e trova in lei il “degno amore” che, insieme con la poesia, può dare equilibrio alla sua vita. Nel 1778 rinuncia a tutti i suoi beni in favore della sorella, in cambio di una rendita vitalizia.
Nel frattempo dalla sua fervida attività di scrittore nascono una dopo l’altra le sue tragedie. A Parigi, con la contessa, soggiorna a lungo. Lo scoppio della Rivoluzione eccita il suo spirito antitirannico e lo induce a salutare con un’ode la presa della Bastiglia. Ma presto gli sviluppi del processo rivoluzionario suscitano in lui riapprovazione e disgusto, per quella che egli ritiene una falsa libertà che maschera una nuova tirannide borghese. Nel 1792 fugge da Parigi con la Stolberg e viene a stabilirsi a Firenze, dove vive i suoi ultimi anni in una sdegnosa solitudine, animato da un odio sempre più feroce contro i Francesi. A Firenze muore l’8 ottobre 1803.

Pubblicato da bmliterature

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