Nato nel 1728 da una nobile famiglia milanese, Pietro Verri entrò presto in conflitto con il padre e con la parte più retriva dell’aristocrazia cittadina. Fu l’animatore del gruppo dei giovani intellettuali che si riunì dal 1761 intorno all’Accademia dei Pugni, dando vita in seguito al “Caffè” (1764-66).
Filosofo ed economista, trasse spunto dal pensiero sensista di Claude-Adrien Helvétius (1715-71) ed Étienne Bonnot de Condillac, secondo i quali la sensazione è la fonte esclusiva di ogni conoscenza, la quale si sviluppa attraverso il linguaggio, da Condillac definito come fenomeno storico e sociale. Nelle Meditazioni sulla felicità (1763) e nel Discorso sull’indole del piacere e del dolore (1773) Verri definisce l’azione umana come continua tensione nella ricerca del piacere, il quale, a sua volta, non è che frutto della cessazione del dolore. Il piacere estetico di osservare,poi, si caratterizza come interruzione di un dolore più astratto, non fisico, ma di natura morale (la noia o la malinconia, per esempio): “la grand’arte consiste a sapere con grande destrezza distribuire allo spettatore delle piccole sensazioni dolorose, a fargliele rapidamente cessare”. Se gli uomini fossero “sani e allegri” l’arte non avrebbe ragione d’esistere.
Interessante infine è l’ampio carteggio epistolare, prezioso per la ricostruzione della personalità dell’autore, dei rapporti familiari e dell’evoluzione dell’impegno intellettuale. Pietro Verri morì nel 1797.