Dante Alighieri – Il De Vulgari Eloquentia

De vulgari eloquentiaScritto nello stesso periodo del Convivio, il De vulgari eloquentia ne riprende ed amplia il discorso sulla dignità del volgare. L’opera nasce infatti dal proposito di fornire un trattato di retorica che fissi le norme per l’uso della lingua volgare, come avevano fatto le “retoriche” antiche e medievali per la lingua latina: con la sistemazione teorica dantesca si conclude perciò, toccando il massimo livello di consapevolezza, il processo di affermazione del volgare come lingua della cultura che si era svolto lungo tutto il corso del Duecento. Una “retorica” dedicata al volgare veniva a consacrarne definitivamente la legittimità e il valore come strumento di espressione letteraria. Bisogna infatti tener presente che l’obiettivo della trattazione di Dante è la lingua letteraria, non la lingua dell’uso comune; anzi, più precisamente un determinato livello di tale lingua, quello più elevato e sublime.

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Scritta in latino, e quindi destinata esclusivamente ai dotti, l’opera doveva comprendere almeno quattro libri, ma rimase interrotta a metà circa del secondo. Il primo libro imposta il problema del «volgare illustre», cioè della formazione di un linguaggio adatto ad uno stile sublime, che tratti argomenti elevati ed importanti. La retorica medievale, infatti, sulle orme di quella classica, dava enorme importanza alla distinzione degli stili a seconda della materia trattata, e classificava uno stile sublime o «tragico», uno mezzano o «comico» ed uno umile o «elegiaco». Il volgare «illustre», destinato al più alto livello di stile, secondo Dante deve essere «cardinale», «aulico» e «curiale»: «cardinale» nel senso che esso è il cardine intorno a cui devono ruotare tutti i volgari municipali; «aulico» (dal latino medievale aula, reggia) perché se gli italiani avessero la reggia, esso sarebbe proprio del palazzo reale; «curiale» perché risponde a quelle esigenze di eleganza e dignità che si possono avere solo nelle eccellentissime corti (in latino curiae). Gli italiani non hanno una corte nel senso proprio del termine, mancando in Italia un monarca, ma ne esistono le «membra», rappresentate dagli uomini di cultura sparsi per il suolo italiano. Dopo aver tracciato una storia del linguaggio a partire dalla confusione babelica, Dante passa in rassegna tutti i dialetti d’Italia alla ricerca di quel «volgare illustre» al quale egli mira, ma non riesce a rintracciarlo in alcuno di essi. L’elaborazione del volgare illustre toccherà allora, secondo lui, a quelle «membra» della corte che sono sparse nelle varie città d’Italia, cioè ai letterati e ai dotti.
dante alighieriNel secondo libro sono definiti invece gli argomenti per i quali occorre lo stile «tragico»; e sono per Dante le armi, l’amore, la virtù. La forma poetica in cui si deve concretare quello stile è la canzone, forma illustre e consacrata da una tradizione già lunga, che dai trovatori provenzali, attraverso siciliani, guittoniani e stilnovisti, arriva sino alle grandi canzoni del Convivio. Mentre nella Vita nuova Dante affermava che solo gli argomenti amorosi potevano essere trattati in volgare, il De vulgari eloquentia ammette anche gli argomenti epico-guerreschi e quelli morali, segnando un notevole allargamento del campo poetico della nuova lingua letteraria. In tal modo testimonia la presa di coscienza teorica di quell’ampliamento d’orizzonti che si era verificato nella poesia dantesca, e che si era manifestato nelle rime di argomento morale e politico posteriori al giovanile periodo stilnovistico. Per ora Dante fissa la sua attenzione esclusivamente sullo stile sublime; ma non per nulla il trattato è interrotto: è l’indizio che già sta maturando in Dante il disegno della Commedia, cioè un’opera non più in stile «tragico», il «bello stilo» delle canzoni, ma in stile «comico», in cui possano trovare posto tutte le infinite manifestazioni della realtà, dalla turpe bassezza dell’inferno alla gloria luminosa del paradiso.

Pubblicato da bmliterature

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