Dante Alighieri – La Vita nuova

Vita NuovaLA GENESI DELL’OPERA
Firenze, ai tempi della giovinezza di Dante, era un ambiente culturale ricco di fermenti, in cui varie tendenze poetiche coesistevano: la lirica d’amore cortese di tipo guittoniana; la nuova maniera cavalcantiana: lo stile comico e realistico; l’enciclopedismo didascalico di Brunetto Latini; la poesia allegorica. In questo ambiente così stimolante il giovane Alighieri cominciò ben presto a dedicarsi alla poesia. Tra i vari indirizzi culturali che si trova di fronte, Dante sceglie quelli più ardui e raffinati, orientandosi verso la lirica d’amore di ascendenza cortese.
Le sue prime prove riprendono il modello guittoniano e ne ripetono gli schemi psicologici convenzionali, il linguaggio astruso e gli artifici formali. Ma subentra l’amicizia con Guido Cavalcanti, e nasce quel gruppo di spiriti eletti, orgogliosi della propria «altezza d’ingegno», che viene designato comunemente con la formula dantesca di «dolce stil novo» (Purgatorio, XXIV, v. 57).
La svolta implica l’adozione di uno stile diverso da quello guittoniano, uno stile «dolce e leggiadro» (Purgatorio, XXVI, v. 99): la sintassi e il ritmo si fanno più piani e scorrevoli, vengono preferite parole prive di aspri scontri consonantici, scompaiono artifici formali troppo concettosi e astrusi. Nei temi, il giovane Dante subisce l’influsso del più anziano Cavalcanti: difatti i suoi versi, dopo la fase guittoniana, insistono sul motivo dell’amore come tormento e sofferenza e sull’analisi esclusiva dell’io dolente. Da questa influenza però Dante ben presto si libera, intraprendendo una strada che lo distacca nettamente dallo Stilnovismo precedente. Ma per comprendere questa nuova e decisiva svolta è necessario rifarsi all’interpretazione che Dante stesso, ad esperienza conclusa, ne dà nella Vita nuova.
Dopo la morte di Beatrice, Dante decise di raccogliere, dal complesso delle liriche scritte fino a quel momento, quelle più significative, facendole precedere da un commento in prosa che spiegasse l’occasione da cui i singoli componimenti erano nati, e facendole seguire da un commento retorico. Era questa una novità di grandissima portata: tutti i poeti d’amore precedenti avevano semplicemente messo insieme dei “canzonieri”, cioè delle serie di liriche staccate che si affiancavano l’una all’altra. La prosa dantesca vale invece ad individuare nelle poesie un senso profondo ed unitario, la linea di svolgimento di una decisiva vicenda interiore. L’opera, compiuta fra il 1293 e il 1295, fu intitolata Vita nuova proprio ad indicare il rinnovamento spirituale determinato nel poeta da un amore eccezionale ed altissimo.

I CONTENUTIbeatrice-dante-marie-spartali-stillman-1895
Dante narra di aver incontrato Beatrice all’età di nove anni, e di averne provato una tale impressione che da quel momento Amore era divenuto il signore del suo animo. Dopo nove anni (nella narrazione torna costantemente il numero nove, che, rimandando alla Trinità, possiede una scoperta valenza simbolica e allude al carattere miracoloso della donna), Dante incontra ancora Beatrice, e al suo saluto gli sembra di vedere «tutti li termini» della sua «beatitudine». Da allora nel saluto della «gentilissima» egli ripone tutta la sua felicità. Però, seguendo rigorosamente i rituali dell’amor cortese, si sforza di tener nascosta a tutti l’identità della donna amata; perciò finge di rivolgere il suo amore ad altre donne, che chiama «dello schermo» perché proteggono il suo amore dall’invidia dei «malparlieri» (si tratta di figure tipiche della tradizione dell’amor cortese). La finzione suscita tuttavia le chiacchiere della gente, e ciò provoca lo sdegno di Beatrice, che gli nega il saluto. La privazione del saluto della sua donna genera nel poeta uno stato di profonda sofferenza: in questa sezione del libro viene utilizzata come modello la poesia di imitazione cavalcantiana, imperniata sull’analisi dei tormenti provocati dall’amore.
Dante si rende conto però che il fine del suo amore deve essere posto non più nel saluto, ma in qualche cosa che «non gli puote venire meno»: le parole che lodano la sua donna. Di conseguenza decide di assumere per la sua poesia una «matera nuova e più nobile che la passata», non più la descrizione delle sue sofferenze, ma la lode della «gentilissima». Comincia così la sezione dedicata alle rime in lode di Beatrice. Ma una visione, avuta durante una malattia, preannuncia al poeta la morte della donna. Dopo poco tempo. Beatrice muore realmente. Per il poeta trascorrono giorni di grande dolore, ed egli trova consolazione nello sguardo pietoso di una «donna gentile» . La tentazione di un nuovo amore è vinta da una visione, in cui Beatrice appare al poeta. Tutti i pensieri di Dante tornano allora a Beatrice; e l’«intelligenza nova» che Amore mette in lui lo innalza sino all’Empireo, la sede dei beati, dove ha la visione ineffabile di Beatrice splendente di tutta la gloria del paradiso. E’ questo l’argomento dell’ultima poesia del libro, Oltre la spera che più larga gira. Nel capitolo successivo, che chiude l’opera, Dante narra di aver avuto un’altra «mirabile visione», che lo induce a non parlare più «di questa benedetta» sino a quando non possa «più degnamente trattare di lei». Si augura perciò di poter vivere tanto da arrivare a «dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna».
La Vita nuova si presenta dunque come ricapitolazione di un’esperienza passata, e al tempo stesso come ricostruzione del suo significato profondo: un’esperienza sentimentale e intellettuale insieme, di vita e di poesia, così unite tra loro da non potersi distinguere. Di qui scaturiscono le dispute tra coloro che interpretano la Vita nuova come reale documento autobiografico e coloro che la ritengono una pura trascrizione simbolica di idee e sentimenti. Ma il libro non è né una cosa né l’altra, ed è difficile da penetrare con la nostra mentalità di lettori moderni, così distante dall’universo culturale del Medio Evo. Nel libro è probabilmente contenuta una trama di esperienze reali, ma Dante mira soprattutto a cogliere i significati segreti che stanno al di là di esse e a comporli in una vicenda esemplare, valida universalmente, sottratta ai limiti del tempo e dello spazio. Deriva di qui il carattere irrealistico della narrazione dantesca, che vanifica ogni tentativo di leggerla in chiave moderna come “romanzo” psicologico. Luoghi e persone perdono la loro fisionomia concreta e individuale e sfumano in un’estrema indeterminatezza. Ne deriva l’impressione di un mondo diverso da quello reale, impalpabile ed evanescente, immerso come in un’atmosfera stranita, di sogno. Tant’è vero che alle vicende reali si mescolano spesso autentici sogni e visioni, senza che si crei alcuno stridore, alcuna sfasatura di tono e di atmosfera.

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I SIGNIFICATI SEGRETI
Si tratta ora di ricostruire la trama di significati segreti che è dissimulata dietro la trama delle azioni. Il libro, come si può vedere dalla ricostruzione della sua linea narrativa, è suddiviso in tre parti: nella prima si tratta degli effetti che l’amore produce sull’amante; nella seconda si ha la lode della donna; nella terza, la morte della «gentilissima». A queste tre parti corrispondono tre diversi stadi dell’amore. Nel primo esso rientra ancora pienamente in quelli che erano i canoni dell’amor cortese, secondo cui l’amante poteva sempre sperare una ricompensa al suo amore da parte della donna: il saluto era divenuto appunto il simbolo, estremamente sublimato, di questo appagamento esteriore e materiale. La negazione del saluto fa scoprire a Dante che la felicità deve nascere non da un appagamento esterno, ma tutta dentro di lui, dalle parole dette in lode della sua donna. E questo il secondo stadio dell’amore. Egli non ama più la donna per averne qualcosa in cambio, ma l’amore diviene fine a se stesso: l’appagamento consiste solo nel contemplare e lodare la creatura altissima, che è in terra come un «miracolo».
A questa scoperta, che avviene a metà dell’opera, al capitolo XVIII, Dante attribuisce un valore decisivo. Nel canto XXIV del Purgatorio afferma che la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, che è il prodotto di quella scoperta, dà inizio a delle «nove rime», cioè ad una nuova maniera di poetare. In che cosa consiste tale “novità”? Come ha indicato Charles Singleton (Saggio sulla «Vita nuova», 1958), questo modo di intendere l’amore ha una stretta affinità con la visione dell’amore mistico, elaborata dai teologi medievali precedenti, come Bernardo di Chiaravalle e Riccardo da San Vittore: è l’amore dei beati in cielo, che non mira a ricompense materiali e trova la sua beatitudine solo nella contemplazione e nella lode di Dio. L’amore per Beatrice si è innalzato ad un livello ben superiore a quello cortese dei trovatori. L’amore non è più una passione terrena, sia pur sublimata e raffinata, non si limita a ingentilire l’animo: è la forza che muove tutto l’universo, che innalza le creature sino a ricongiungersi con Dio. Ma vengono superati anche i termini dello Stilnovismo precedente: Guinizzelli e Cavalcanti cantavano bensì la donna come miracolo e dono di Dio, ma l’amore era solo un processo discendente, da Dio al poeta (Dio —► donna —► poeta); il processo ascendente si arrestava alla donna (poeta —► donna), al di sopra della quale per l’amante non vi poteva esser nulla. Era inevitabile quindi un conflitto tra l’amore per la donna e l’amore per Dio. In Dante il conflitto è superato: il processo ascendente torna sino a Dio proprio per il tramite della donna. maria-maddalena-portata-in-cielo-da-un-angelo_imagelarge-30023L’amore per la donna innalza l’anima sino alla contemplazione del cielo: ed è questo appunto il terzo stadio dell’amore nella Vita nuova, perfettamente identificabile nell’ultimo sonetto dell’opera, Oltre la spera che più larga gira, in cui Amore mette nel pensiero del poeta un’«intelligenza nova», che gli consente di contemplare Beatrice nella gloria dell’Empireo. Non solo, ma quando Guinizzelli e Cavalcanti lodavano la donna come angelo del cielo non si trattava che di un’iperbole retorica, che rientrava in una precisa convenzione poetica. Nella Vita nuova invece l’elemento inedito della prosa che accompagna le liriche, rivelando il senso profondo e unitario di tutta la vicenda, attesta che non si tratta di semplici metafore poetiche, e risponde della serietà di tutto il discorso. a nuova Dietro le apparenze di una vicenda d’amore, la Vita nuova narra dunque di un’esperienza mistica. Già il libretto giovanile, quindi, è un viaggio a Dio con Beatrice come guida, come sarà poi la Commedia. E nel proposito che chiude l’opera, di dire un giorno di Beatrice «quello che mai non fue detto d’alcuna», è probabilmente da vedere l’indizio che nella mente di Dante si è formato il primo germe del futuro «poema sacro». Ma, nonostante questo legame, il passaggio dalla Vita nuova alla Commedia non è affatto diretto e immediato: in mezzo si pongono due grandi esperienze che maturano la visione di Dante e allargano immensamente i suoi orizzonti, colmando la distanza tra il chiuso e rarefatto mondo dell’operetta giovanile e quell’immensa sintesi del reale in tutta la molteplicità delle sue forme che è il capolavoro: sono l’esperienza filosofica e quella politica.

Pubblicato da bmliterature

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