La decadenza del poema tradizionale

La decadenza del poema epico: il valore esemplare della Gerusalemme

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Ritratto di Torquato Tasso con la sua Gerusalemme Liberata

Nel pieno Rinascimento Ariosto aveva consacrato il genere del poema cavalleresco, incentrato sulla molteplicità di avventure di numerosi eroi, in cui il poeta proiettava le passioni e le aspirazioni degli uomini del suo tempo.
Di contro al modello del poema cavalleresco, nel secondo Cinquecento Tasso, con la Gerusalemme liberata, vuole restaurare il poema epico tradizionale, rifacendosi alla lezione classica di Omero e Virgilio: abbandona la materia romanzesca traendo l’argomento dalla storia, mira a conferire al poema una struttura unitaria e chiusa, contro la molteplicità e l’infinita apertura delle avventure cavalleresche, e vuole caricare l’opera di intenti celebrativi degli ideali religiosi della Controriforma. Tuttavia, nonostante questi propositi, nel poema di Tasso si manifestano profonde ambivalenze, che cominciano a mettere in crisi la struttura epica tradizionale: la solennità propria dell’epica è continuamente compromessa da episodi voluttuosi e patetici; la costruzione unitaria è minata dalla tendenza alle avventure degli eroi che abbandonano il sacro compito di conquistare il sepolcro di Cristo per inseguire le aspirazioni individuali alla gloria e all’amore; in opposizione ai valori religiosi appare evidente nel poema il fascino esercitato dei valori laici, che si rispecchiano nelle figure dei nemici, i “pagani”, guardati dal poeta con ammirazione.
Si tratta di contraddizioni non solo personali ma proprie di tutta un’epoca, di una civiltà tardorinascimentale coinvolta in un tormentato processo di transizione, in cui le certezze del passato cominciano a vacillare e in cui si affacciano inquietudini nuove. Il “bifrontismo” interno della Gerusalemme liberata è la più chiara manifestazione di questa crisi. La crisi si aggraverà nel Seicento, dando origine a un rinnovamento profondo del poema epico.

Gli epigoni di Tasso e il definitivo tramonto dell’epica eroica: Tassoni e Marino

Alessandro_TassoniIl Seicento presenta una ricca produzione di poemi epici eroici modellati sulla Gerusalemme Liberata. Ma è con Alessandro Tassoni e Giovan Battista Marino che l’epoca barocca sancisce il definitivo abbandono e superamento del poema epico-eroico: nel primo caso, attraverso un genere ibrido, il poema eroicomico; nel secondo, con la costruzione di un monumentale “poema lirico” che perde ogni legame tematico e stilistico con il genere della tradizione e cambia il suo schema.
Alessandro Tassoni, nella Secchia rapita, ricorre ancora alla narrazione epica, fondata sul fitto intrecciarsi e susseguirsi delle azioni dei personaggi che la animano, allo scopo, tuttavia, di svuotarne il senso originario per immettervi elementi parodiaci e irriverenti.
Giovan Battista Marino, con l’Adone giunge invece a dissolvere del tutto l’elemento principe dell’epica, vale a dire la narrazione delle azioni. Il suo poema può definirsi tale solo se lo si consideri dal punto di vista della vastissima struttura, divisa ancora in canti e ottave. Ma il tema (di chiara marcia edonistica) perde ogni legame con la tradizione e l’azione si dissolve nella descrizione minuta e ricchissima di sensazioni, supportate da una fitta rete di concetti e metafore d’ispirazione mitologica.

Pubblicato da bmliterature

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