LA DITTATURA DEL PROLETARIATO
Le elezioni per l’Assemblea costituente del 1917 furono deludenti per i comunisti-bolscevichi che ottennero solo 175 seggi su 707, mentre i socialisti rivoluzionari ne raccolsero ben 410. I comunisti dimostravano di poter affermarsi nelle principali città in cui è maggiormente presente la popolazione operaia, ma perdevano fortemente nelle campagne dove vi è la maggioranza della popolazione russa. Nelle zone rurali russe, molto arretrate e conservatrici, le idee bolsceviche erano viste di cattivo occhio.
Di fronte a questa interruzione di rivoluzione, Lenin decise di forzare la mano e bloccare le elezioni sciogliendo l’Assemblea costituente e dando vita ad una dittatura del proletariato. Si trattava di un regime con un unico partito con l’obiettivo di salvare la rivoluzione esercitando il potere assolutistico per evitare ogni forma di opposizione. Tutte le organizzazioni reazionare, liberali, democratiche e socialiste che non condividevano il radicalismo autoritario di Lenin vennero dichiarate fuori legge anche se erano favorevoli alla trasformazione della Russia.
LA GUERRA CIVILE
La decisione di Lenin confermò i timori che i nobili, la borghesia e parte degli intellettuali avevano nei confronti del comunismo. Per Lenin, il partito comunista aveva il diritto-dovere di governare in nome del proletariato. In una situazione rivoluzionaria, la sconfitta elettorale non doveva interrompere la trasformazione dall’antico regime al socialismo.
Per i comunisti l’autentica democrazia coincideva con la risposta ai bisogni più urgenti delle masse popolari e del movimento operaio e contadino. Secondo Lenin i rivoluzionari avevano il dovere di difendere le conquiste della rivoluzione, anche a costo di agire in modo autoritario.
La svolta autoritaria impressa da Lenin compattò il fronte controrivoluzionario composto dalla borghesia, dai nobili, dagli ufficiali dell’ex esercito zarista, ma anche dai contadini piccoli proprietari e socialisti rivoluzionari. Ci furono diversi tentativi di rovesciare il governo comunista che però fallirono. Gli oppositori al governo comunista scatenarono allora una guerra civile che vide schierata l’Armata rossa, guidata da Lev Trockij, intellettuale e militante bolscevico che affiancava Lenin alla guida del partito, e l’Armata bianca guidata da alcuni generali zaristi.
Dopo le milioni di vittime della Prima guerra mondiale, la guerra civile russa fu drammatica e distruttiva per la popolazione civile. Il conflitto durò 3 anni (1918-1920) e dopo diversi scontri fu vinta dall’Armata rossa bolscevica che, a differenza dell’Armata bianca, seppero proporre una prospettiva di cambiamento radicale dei rapporti sociali ed economici che conquistò il consenso di grandi fasce di popolazione. Durante la guerra civile, la famiglia reale Romanov venne uccisa per evitare che le forze controrivoluzionarie facessero riemergere la figura dello zar.
VERSO IL TOTALITARISMO
La guerra civile fu un momento di svolta per la storia sovietica per due motivi, uno esterno ed uno interno:
- Dal punto di vista esterno, la creazione di un “cordone sanitario” attorno alle frontiere sovietiche, costituito da tutti i governi anticomunisti, e l’arrivo di contingenti stranieri a sostegno dell’Armata bianca, contribuirono ad alimentare l’ossessione del pericolo esterno che determinerà la scelta di diverse strategie di politica estera da parte dell’Unione Sovietica.
- Dal punto di vista interno, la gestione autoritaria e centralizzata della guerra ebbe un peso decisivo nell’orientare il conflitto a favore del governo comunista e contribuì a rendere ovvia e scontata una pratica di governo fortemente autoritaria.
LA NUOVA POLITICA ECONOMICA
Alla fine della guerra civile (1921), le condizioni economiche del nuovo stato sovietico erano disastrate a causa dei sette anni di guerre. In questo momento il programma di statalizzazione integrale di tutti i mezzi di produzione non poteva essere realizzato.
L’abolizione integrale della proprietà privata riguardava anche i piccoli e medi proprietari terrieri (kulaki), il cui tenore di vita non era elevato. Durante la guerra il governo aveva applicato il comunismo di guerra, ovvero la requisizione forzata dei prodotti agricoli, per assicurare l’approvvigionamento e la repressione del mercato nero. Al termine della guerra, il regime si poneva il problema di recuperare i livelli produttivi. Bisognava capire se il comunismo di guerra fosse una strategia vantaggiosa o meno.
Lenin si rese conto che l’applicazione dei principi economici del comunismo, in un paese distrutto dalla guerra, avrebbe indebolito la rivoluzione e impedito la stabilizzazione del governo comunista. Per questo motivo nel 1921 promosse la Nuova politica economica (NEP), una nuova strategia che rimandava la statalizzazione integrale dell’economia ad una fase successiva e reintroduceva una parziale libertà di mercato. Ai kulaki veniva così concesso di conservare parte dei loro terreni e una parte della loro produzione per poi poterla vendere sul mercato. Questa strategia economica rianimò rapidamente l’economia russa.