La Divina Commedia di Dante Alighieri

Dante AlighieriNOTIZIE GENERALI
La Divina Commedia è un poema composto da 14223 endecasillabi in terzine concatenate, suddiviso in tre cantiche – Inferno, Purgatorio e Paradiso – e in 100 canti.
Il I canto dell’inferno funge da proemio generale dell’intero poema, perciò la prima cantica presenta 34 canti, mentre il Purgatorio e il Paradiso hanno 33 canti ciascuno.

DATAZIONE DELL’OPERA
La composizione della Divina Commedia è strettamente legata all’esperienza dell’esilio di Dante che va dal 1302 fino alla sua morte avvenuta nel 1321. Dante lavora al poema per almeno 15 anni, dal 1306 al 1321, ma la datazione delle singole cantiche e dell’intera opera è tutt’altro che certa.
Vi sono, però, alcuni punti fermi:

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  • l’Inferno non contiene riferimenti ad avvenimenti successivi al 1309 e questo fa supporre che la prima cantica sia stata completata entro quell’anno;
  • il Purgatorio, probabilmente iniziato durante la stesura dell’inferno, non contiene riferimenti successivi al 1313 e questo fa supporre che la seconda cantica sia stata completata entro quell’anno;
  • la stesura del Paradiso occupa gli anni che vanno dal 1316 al 1321.

I documenti a nostra disposizione sembrano attestare la pubblicazione delle prime due cantiche entro il 1319, la terza, invece, venne pubblicata postuma.

IL TITOLO
II titolo originario del poema è “Commedia” come viene dichiarato dallo stesso Dante nell’Epistola a Cangrande della Scala, il signore di Verona al quale il poeta, riconoscente per l’ospitalità ricevuta durante l’esilio, dedica il Paradiso. In questa lettera, infatti, Dante dice: “Il titolo del libro è ‘Comincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi’ ”
L’aggettivo “divina”, che in seguito appare nel titolo, non è dantesco: esso appare per la prima volta in una edizione veneziana del poema datata 1555. Questo dipendeva da un’indicazione di Giovanni Boccaccio, che, nel “Trattatello in laude di Dante” aveva accostato l’aggettivo “divina” al sostantivo “commedia”.
Boccaccio giustificava l’aggettivo “divina” innanzitutto, perché l’argomento trattato era divino, soprannaturale, in quanto narrava un viaggio nell’oltretomba, ma anche per indicare la qualità sublime, elevata dell’opera.
Invece il poema dantesco è “commedia”:

  • perché ha un inizio tragico, ma un finale felice;
  • perché è scritto in uno stile comico, mediocre. In realtà, poiché nella Commedia Dante rappresenta tutti i molteplici aspetti della realtà, da quelli quotidiani e umili a quelli più elevati e sublimi, Dante elabora un nuovo stile, lo stile gravis adatto a esprimere non solo la tragicità, ma anche la comicità del reale, quindi a rappresentare non solo i suoi aspetti sublimi (realtà delle anime, perfezione del disegno divino…), ma anche quelli infimi (la miseria, il dolore, i vizi, i peccati…).

GENESI DEL POEMA
La Divina Commedia nasce da una visione cupa e apocalittica della realtà e dalla speranza di una rinascita futura. Dante vede innanzi a sé un modo violento e corrotto, in cui l’ordine voluto da Dio per assicurare agli uomini la pace e la giustizia, è stato sconvolto.
L’Imperatore ha dimenticato la sua funzione di assicurare agli uomini la felicità di questa vita e trascura di esercitare la sua autorità sull’Italia.
La Chiesa, invece, di perseguire il suo fine, cioè quello della salvezza delle anime, pensa solo alla potenza terrena, accrescendo il caos, corrompendosi.
In tale situazione tutti i valori che nel passato avevano assicurato un vivere tranquillo come la pudicizia, la sobrietà, la semplicità, la famiglia… sono sovvertiti: gli uomini si sopraffaggono a vicenda e si scontrano in conflitti fratricidi.
In questa situazione Dante ritiene di essere stato investito da Dio della missione di indicare all’umanità la via della salvezza. Per questo, obbedendo a Dio, deve compiere il viaggio nei tre regni dell’oltretomba, esplorare il male presente dell’inferno, trovare la via dell’espiazione e purificazione nel Purgatorio, ascendere di cielo in cielo fino a Dio.
Tutto quanto Dante apprenderà in questo viaggio, dovrà comunicarlo agli uomini tramite il poema, in modo che essi possano vedere la dritta via che hanno smarrita.
Dante è il terzo mortale a compiere da vivo il viaggio nell’oltretomba dopo Enea e San Paolo.
La Commedia, nascendo da questo insieme di sollecitazioni politiche e religiose, assume il carattere di un libro profetico come la Bibbia, e lo stesso Dante, nel corso del poema, assume l’atteggiamento del profeta, che ora invoca terribili castighi divini per i peccatori, ora fa balenare prospettive di un riscatto morale.
Il viaggio è, dunque, la storia della redenzione personale di Dante, ma Dante rappresenta anche tutta quanta l’umanità, incamminata verso la redenzione collettiva.

FONTI DANTESCHE
Per dar vita alla sua opera e al tema del viaggio nell’oltretomba, Dante possiede illustri precedenti a cui attingere:

  • l’ “Eneide ” di Virgilio che nel VI libro racconta la discesa di Enea nel regno dei morti;
  • l’Apocalisse di San Giovanni apostolo e una pagina della Seconda lettera di san Paolo ai Corinzi, nella quale l’apostolo narra di essere stato rapito al settimo cielo;
  • testi agiografici che narravano leggende sull’oltretomba: tra questi “La navigazione di San Brandano” e “Il Purgatorio di San Patrizio”;
  • il “Libro della Scala” che narra l’ascesa al cielo di Maometto;
  • i poemetti didattico-allegorici in volgare affermatisi nell’Italia del Nord nel 1200: tra i vari ricordiamo “Il libro delle tre scritture” di Bonvesin della Riva e “De Babilonia civitate infernali e de Jerusalem celesti” di Giacomino da Verona;
  • la letteratura mistica in cui si parla dell’ascesa a Dio come un viaggio: ricordiamo “Itinerarium mentis in deum” di San Bonaventura.

LA SIMBOLOGIA NUMERICA
Un ruolo importante riveste nella Commedia il simbolismo numerico a cui Dante ha affidato il compito di riprodurre la perfezione della creazione divina. In particolare egli utilizza l’uno e il dieci simbolo dell’unicità di Dio e il tre simbolo della Trinità. Infatti, tre sono le cantiche, tre sono i regni dell’oltretomba, tre sono le guide di Dante nel suo viaggio (Virgilio, Beatrice, San Bernardo), trentatré sono i canti di ciascuna cantica, nove (cioè tre moltiplicato per se stesso) sono i cerchi dell’inferno, sette le comici del Purgatorio alle quali si uniscono l’Antipurgatorio e il Paradiso terrestre e si arriva a nove, nove sono i cieli del Paradiso. Meno evidente, ma altrettanto significativa è la ricorrenza del dieci: i canti sono cento, cioè dieci moltiplicato per se stesso, nove sono i cerchi dell’inferno, ai quali si aggiunge l’Antinferno e si arriva a dieci, nove sono i cieli del Paradiso a cui si aggiunge l’Empireo e si arriva a dieci.

STRUTTURA DEL POEMA
CosmoDantescoColBasandosi sulle tesi dell’astronomo greco Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C., Dante immagina la Terra al centro dell’Universo; intorno ad essa ruotano nove sfere concentriche (cieli), mentre una decima, l’Empireo è immobile. Solo l’emisfero settentrionale della Terra è abitato; i suoi confini sono a est il fiume Gange e a ovest le Colonne d’Ercole; il suo centro è la città di Gerusalemme. L’emisfero meridionale, invece, è interamente ricoperto dalle acque.All’interno della Terra c’è l’Inferno che è una voragine a forma di cono rovesciato, i suoi bordi sono a scaloni orizzontali e questi formano i nove cerchi concentrici in cui sono puniti i diversi peccatori. I cerchi sono sempre più stretti man mano che ci si avvicina al fondo dell’Inferno. Qui è conficcato Lucifero, l’angelo che si ribellò a Dico e che per punizione, venne sprofondato nel punto più lontano da Dio. Quando Lucifero cadde, le terre si ritrassero al suo passaggio: il terremoto originò la voragine dell’Inferno, mentre sorse un’isola montuosa, il Purgatorio, nell’emisfero meridionale, tutto circondato dalle acque.
Il Purgatorio è un’altissima montagna circondata dal mare. Qui Dante e Virgilio giungono attraverso un lungo corridoio sotterraneo, che parte dai piedi di Lucifero, invece tutte le anime che devono espiare le proprie colpe vi arrivano condotte da un angelo, su una barca che le raccoglie alla foce del Tevere. Sulla spiaggia ai piedi del Purgatorio sostano i negligenti, cioè le anime che tardarono a pentirsi. Più su comincia il cammino di espiazione, lungo ciascuna delle sette cornici in cui si suddivide la montagna. Sulla cima della montagna si apre una selva luminosa e fonte di pace, il Paradiso terrestre: qui dimorano Adamo ed Eva, appena creati da Dio. Proprio qui, conclusa la purificazione, Virgilio saluta Dante e viene sostituito nel ruolo di guida da Beatrice, che accompagnerà il poeta nella parte finale del viaggio.
Le anime dei beati risiedono nell’Empireo, in forma di immenso anfiteatro: è la candida rosa, aperta attorno al trono di Dio, fonte di beatitudine. Dante, però, incontra le anime beate non nell’Empireo, ma ciascuna nella sfere celesti che ne influenzò in vita il carattere. Si tratta di un espediente narrativo con cui evitare una monotonia con una serie di dialoghi in un unico luogo. Così, invece, disponendo gli incontri in modo graduale e in luoghi diversi, viene valorizzata la differenza tra le anime; sono, inoltre, così conservate le leggi di simmetria che regolano tutte e tre le cantiche.

PENE E CASTIGHI
Il viaggio di Dante comprende una discesa e una risalita, un allontanamento da Dio e un ritorno; anche le anime si dispongono, secondo le loro colpe o meriti, più o meno lontani da Dio.
Nell’Inferno Dante pellegrino discende dalla colpa più lieve alla più grave; l’ascesa al Purgatorio lo porta dal peccato più grave al più lieve; infine la visione paradisiaca lo conduce dal grado più basso a quello più alto di beatitudine.
Per costruire questa struttura morale del suo regno dell’oltretomba, Dante ha ripreso scritti di San Tommaso e di Aristotele. Però, è ricorso anche a una pluralità di fonti che hanno portato qualche novità. Per esempio, nell’Inferno ha aggiunto tre categorie estranee ad Aristotele:

  • gli ignavi, cioè coloro che non fecero né del bene né del male;
  • il Limbo, cioè un luogo dove si trovavano i bimbi morti senza battesimo e i grandi spiriti dell’antichità;
  • gli eretici, cioè coloro che non credono in Dio.

L’idea di un regno intermedio tra Inferno e Paradiso si affermò nel 1174, con il concilio di Lione, quindi nel raffigurare questo regno dell’oltretomba Dante non aveva a disposizione nessun modello, ma fece ricorso all’invenzione.
Nel Paradiso Dante si ispira a più fonti come Sant’Agostino, Gregorio Magno, San Bonaventura.
Le anime dell’oltretomba dantesco soffrono pene e castighi proporzionati alle colpe commesse in vita e regolati dalla legge del contrappasso: la giustizia divina stabilisce una relazione o di analogia o di contrasto tra la pena e la colpa:

  • l’analogia si mostra, per esempio, nel V canto dell’inferno, dove le anime dei lussuriosi, travolti in vita dalla bufera dei sensi, sono allo stesso modo travolti nell’aldilà da una bufera che non si ferma mai;
  • il contrasto si evidenzia, per esempio, nella continua corsa degli ignavi dell’Inferno o degli accidiosi nel Purgatorio. Quanto essi furono pigri in vita nel fare del bene, tanto adesso devono correre senza tregua nell’aldilà.

Sorge a questo punto un dubbio: se l’anima è uno spirito, come può provare tormenti fisici? La risposta è che le anime, nel poema dantesca, sono dotate di corpo spirituale, un corpo capace di sentire il dolore, ma anche di oltrepassare una porta chiusa.

LA NOTTE DEL PECCATO
Il poema comincia di notte, ma non in una notte qualsiasi. Siamo nella settimana di Pasqua del 1300 e questa è la notte tra giovedì e venerdì santo, quella che ricorda la tentazione di Cristo nell’orto degli ulivi, tradito da Giuda e abbandonato dai discepoli.
È allora che Dante si perde in una selva oscura, simbolo del peccato. Siamo nei pressi di Gerusalemme, il punto che nella geografia medioevale costituiva il centro delle terre emerse. Qui il poeta, in preda a una profonda crisi spirituale e morale, è minacciato da tre fiere, che gli impediscono di uscire da quella selva oscura con le sole sue forze.
Per fortuna, all’improvviso, giunge qualcuno in suo soccorso: è l’anima di Virgilio, poeta latino dell’Eneide e simbolo della ragione. Vista la strada sbarrata dalla lupa, simbolo della cupidigia. Virgilio dice a Dante che potrà uscire dall’Inferno passando da un’altra parte: tale cammino lo condurrà nel regno dei morti e, soprattutto, implicherà per lui un grande impegno, perché sarà un itinerario di penitenza e purificazione. Dunque, non sarà una passeggiata, ma un’ascesa verso il bene e la verità. Dante accetta il consiglio di Virgilio, e in sua compagnia, comincia il viaggio nell’oltretomba.

UN ANNO SPECIALE
Tutto ciò è inquadrato in una precisa cornice: siamo nella settimana di Pasqua del 1300 e la notte è quella tra giovedì 7 aprile e venerdì 8 aprile del 1300. Non è una data casuale né per la biografia di Dante né per valore storico:

  • per quanto riguarda Dante: poiché la durata della vita ideale dell’uomo, secondo Dante, è di settanta anni, nel 1300 egli si trovava esattamente a metà della sua vita;
  • per quanto riguarda l’umanità: siamo nel punto di passaggio tra due secoli, il XIII e il XIV, ma soprattutto siamo nell’anno del primo Giubileo, indetto da papa Bonifacio VIII appunto nel 1300. Dante non aveva alcuna simpatia per papa Bonifacio VIII, però teneva in grande considerazione la novità del Giubileo, l’anno santo nel quale Dio avrebbe perdonato tutti i peccati scontandoli dall’espiazione in Purgatorio, a chiunque si fosse pentito e avesse visitato a Roma le basiliche dei santi Apostoli.

LA CRONOLOGIA DEL VIAGGIO
Dante e Virgilio attraverseranno l’inferno tra venerdì 8 e sabato 9 aprile; ne usciranno nella notte tra sabato e domenica (9-10 aprile del 1300), che è la notte della resurrezione di Gesù. Cominceranno la salita lungo le balze del Purgatorio all’alba del 10 aprile, domenica di Pasqua. Dante spiccherà il volo verso il Paradiso a mezzogiorno del 13 aprile, mercoledì dopo Pasqua. In quello stesso giorno il suo viaggio si concluderà, subito dopo la visione di Dio nell’Empireo.

Pubblicato da bmliterature

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