Francesco Petrarca, La vita

Francesco PetrarcaLA FORMAZIONE E L’AMORE PER LAURA
Petrarca nacque ad Arezzo il 20 luglio 1304, da una famiglia fiorentina di condizione borghese. Il padre, ser Petracco, era notaio, ed era stato mandato in esilio dopo che i Guelfi neri si erano impadroniti del potere in Firenze. Nel 1312 ser Petracco, in cerca di una sicura sistemazione, si trasferì con la famiglia ad Avignone, dove allora risiedeva la Curia papale. Francesco a sedici anni intraprese studi giuridici, prima a Montpellier poi a Bologna, ma la sua vocazione era già irresistibilmente letteraria, quindi nel 1326, senza terminare i corsi, tornò ad Avignone.
Qui condusse una vita frivola e dissipata, ma al contempo si dedicò allo studio degli scrittori classici, per i quali nutriva una sconfinata ammirazione. Accanto ad essi teneva sempre con sé un piccolo libro, le Confessioni di sant’Agostino: già negli anni della formazione si delineano così le due tendenze fondamentali della cultura petrarchesca, il culto dei classici ed un’intensa spiritualità cristiana.
La lingua in cui pensava e scriveva abitualmente, come ci rivelano gli appunti a margine dei suoi manoscritti, era il latino; ma parallelamente coltivava anche il genere della poesia lirica volgare, sulle orme degli stilnovisti e di Dante. Seguendo il modello dei poeti d’amore, volle raccogliere tutti i motivi della sua poesia intorno ad un’unica immagine femminile, a cui diede il nome di Laura, ricco di risonanze simboliche, in quanto richiamava il “lauro”, la pianta sacra ad Apollo, dio della poesia. Sono nate molte discussioni sull’effettiva realtà di questo amore e si è giunti anche a dubitare dell’esistenza storica di Laura. Ora si è abbastanza concordi nel ritenere che alla base della lirica del Canzoniere vi sia un’esperienza reale; tuttavia, nella vita pratica dell’uomo Petrarca, l’amore per Laura dovette essere un episodio effimero e fu assunto nell’esperienza letteraria con il valore di un simbolo, intorno a cui il poeta concentrò tutti gli elementi della sua travagliata vita interiore, le sue contraddittorie aspirazioni, le debolezze, le colpe, i ripiegamenti, le sconfitte.

PetrarcaI VIAGGI E LA CHIUSURA NELL’INTERIORITÀ
La vita del giovane Petrarca non era solo occupata dai rapporti mondani, dagli studi severi, dall’amore e dalla poesia: egli sentiva fortemente anche l’esigenza della sicurezza materiale, il bisogno degli agi e della tranquillità; Blese perciò gli ordini minori, che non implicavano la cura delle anime, ma consentivano di accedere a cariche e a rendite lucrose. Al bisogno di sicurezza materiale e di tranquillità si contrapponeva però, nella complessa e contraddittoria personalità del poeta, un’inquietudine perpetua, una curiosità inesausta di conoscere, che lo spingeva a viaggiare, a mutar climi e ambienti.
Ogni viaggio era per lui l’occasione per arricchire la propria cultura: nei vari luoghi dove si recava frugava nelle biblioteche di monasteri, abbazie, vescovadi, scoprendo testi di classici latini che giacevano dimenticati; inoltre stringeva amicizia con diversi letterati europei e italiani (in particolare con Boccaccio), con cui negli anni a venire continuerà a intrattenere una fitta corrispondenza.
Tuttavia a questa irrequietudine che lo spingeva ad esplorare continuamente, il mondo esteriore si contrapponeva una tendenza di segno opposto, il bisogno di chiudersi nell’interiorità, di approfondire la conoscenza di sé. Questa tendenza al raccoglimento interiore si concretò nel ritiro a Valchiusa, presso le sorgenti del Sorga, poco lontano da Avignone. Qui, nel paesaggio sereno e idillico, Petrarca amava rifugiarsi lontano dalle preoccupazioni quotidiane e dal tumulto della vita cittadina, dedicandosi alla lettura dei classici, alla scrittura, alla meditazione. Da questo otium letterario, cioè da un distacco da ogni attività pratica per un impegno totale nella cultura dello spirito, nacque gran parte delle sue opere, sia in latino sia in volgare. Valchiusa divenne per Petrarca il simbolo di un’attività spirituale indipendente, libera dai legami e dai condizionamenti che derivano dalla vita sociale e dai rapporti con il potere politico, nella quale l’intellettuale realizza più compiutamente il suo ideale di una vita autentica, non dispersa dietro cose vane e futili.

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IL BISOGNO DI GLORIA E L’IMPEGNO POLITICO
Tuttavia l’attività letteraria per Petrarca non derivava solo dalla scelta di allontanarsi dalle attività pratiche, non mirava solo all’elevazione e all’affinamento dello spirito nella solitudine. In primo luogo, vi era in lui un prepotente bisogno di gloria, di riconoscimenti, di onori. Tale desiderio fu appagato dall’incoronazione poetica, che avvenne a Roma, sul Campidoglio, nel 1341, in una solenne cerimonia che agli occhi del poeta pareva risuscitare i fasti di Roma antica. Dopo il soddisfacimento di questa vanità terrena toccò però il culmine in Petrarca una crisi religiosa, fatta precipitare dal ritiro in convento dell’amato fratello Gherardo: la sua drastica decisione di lasciare il mondo suonava come un ammonimento, che colpì profondamente Francesco. Ma egli non riuscì ad approdare ad una decisione così radicale e definitiva come quella del fratello, pur vagheggiandola: in lui la crisi si tradusse in un tortuoso processo interiore senza alcuno sbocco risolutivo, in cui si alternavano l’ansia di purificazione, nutrita di sottili esami di coscienza che mettevano implacabilmente a nudo la sua umana debolezza, e il risorgere ineliminabile di interessi mondani, letterari e politici. Emerge chiaramente di qui quel “dissidio” fondamentale della sua personalità, il continuo oscillare della volontà, che non riesce mai ad acquietarsi in un approdo definitivo. In secondo luogo, oltre che di affermazione personale, l’esercizio letterario è anche strumento di impegno politico e civile. In contrasto col bisogno di solitudine tranquilla e studiosa, Petrarca sente vivamente i grandi problemi del suo tempo e mira ad incidervi, proprio in quanto intellettuale. Egli usa il suo prestigio e la sua eloquenza per perorare il ritorno del papa a Roma, per bollare la corruzione della Curia avignonese ed incitare la Chiesa a ricuperare la sua purezza originaria; rivolge appelli all’imperatore Carlo IV di Boemia perché scenda in Italia a ristabilire l’autorità imperiale; deplora le lotte civili tra le fazioni e tra i signori italiani e invoca una pace durevole; partecipa ad ambascerie e missioni diplomatiche. Soprattutto si entusiasma per il tentativo politico di Cola di Rienzo, che, restaurata la repubblica nella Roma abbandonata dal papa, sogna di riportare la città alla grandezza antica, facendola centro di una rinnovata cristianità. Petrarca, ispirato dagli stessi ideali e dallo stesso culto della Roma classica, invia varie lettere a Cola, per esortarlo a perseverare e indicargli la via da seguire. Si pone anche in viaggio per poter essere a Roma al suo fianco, ma, giunto a Genova, la notizia del degenerare dell’azione del tribuno lo distoglie dai suoi propositi.
L’insofferenza per la corruzione della Curia avignonese giunge al limite di rottura nel 1347: Petrarca lascia Avignone e tra il ’48 e il ’51 soggiorna a lungo in Italia, stabilendovisi definitivamente nel ’53: prima a Milano, presso i Visconti, poi nel ’61, per sfuggire ad una pestilenza, a Venezia, infine presso Arquà nei colli Euganei, vicino a Padova. In questo sereno soggiorno di Arquà trascorre gli ultimi anni, assorto sempre nelle attività a lui più care, studiare e scrivere. Si spegne nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374; la leggenda vuole che la morte lo abbia colto chino su un codice del suo amato Virgilio.

Pubblicato da bmliterature

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