Giovanni Boccaccio – Le opere del periodo fiorentino

Boccaccio-Ritratto-1568Lasciare l’aristocratico e gioioso mondo napoletano e trasferirsi a Firenze costituì per Boccaccio un’esperienza dolorosa. Tuttavia egli avvertì subito l’esigenza di inserirsi nel nuovo ambiente culturale. La via più naturale che gli si apriva era la ripresa della poesia allegorico-dottrinaria, che era stata viva nella cultura fiorentina sin dal Duecento e che aveva trovato la sua più compiuta realizzazione nella Commedia dantesca.
Se dunque nella Napoli cortese aveva scritto prevalentemente romanzi, ora compone opere sul modello del poema di Dante: la Comedìa delle Ninfe fiorentine (nota anche col titolo inesatto di Ninfale d’Ameto) e l’Amorosa visione.

h2_26.287.1,2LA COMEDÌA DELLE NINFE FIORENTINE
La Comedìa è una narrazione in prosa, inframmezzata da componimenti in terzine, cantati dai vari personaggi, e riprende schemi della poesia pastorale antica, popolata da stilizzati pastori e leggiadre ninfe, sovrapponendovi gli schemi allegorici medievali, attinti soprattutto da Dante (come rivela già il titolo). Il pastore Ameto incontrale ninfe dei colli fiorentini, che rappresentano allegoricamente le virtù, e grazie all’amore si trasforma da essere rozzo ed animalesco in uomo: si vede così ritornare il principio cortese secondo cui l’amore ingentilisce e raffina l’animo. L’allegoria, del componimento infatti non ha più nessuna delle valenze religiose dell’allegoria dantesca, ha un significato esclusivamente mondano.
L’opera è un omaggio alla bellezza delle donne fiorentine, che traspaiono chiaramente dietro le figure delle ninfe. Nel vagheggiamento della loro bellezza compaiono una serenità ed un edonismo che sono ormai lontani dall’idealizzazione della donna di tipo stilnovistico e aprono la strada a un’idea della bellezza femminile che sarà propria del Rinascimento. I racconti delle ninfe, d’altro lato, hanno già le caratteristiche di vere e proprie novelle, a volte persino comiche ed erotiche, e fanno presentire il Decameron.

L’AMOROSA VISIONE
L’Amorosa visione è invece un poema in terzine di cinquanta canti, composto nel ’42-’43. Sotto la guida di una donna gentile, il poeta visita in sogno un castello, dove vede dipinti i trionfi della Sapienza, della Gloria, dell’Avarizia, dell’Amore e della Fortuna, insieme a personaggi che servono a esemplificare queste astrazioni. La visita al castello è il pretesto per aride esposizioni erudite ed enciclopediche. Anche in quest’opera, come si vede, lo schema allegorico dantesco è trasformato in senso laico: non si tratta di un viaggio mistico a Dio, ma della conquista di una saggezza morale tutta umana.

A_Vision_of_Fiammetta_by_Dante_Gabriel_RossettiL’ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA
Al mondo dell’esperienza giovanile, Boccaccio torna con un altro romanzo in prosa, l’Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44). L’opera segna tuttavia una svolta rispetto all’autobiografismo insistito delle opere di quella prima fase: Boccaccio prende le distanze dall’esperienza napoletana, oggettivandola attraverso una sorta di rovesciamento dei dati biografici.
Egli infatti narra non dal proprio punto di vista, bensì da quello di una dama napoletana abbandonata dall’amante, il giovane fiorentino Panfilo, che è tornato nella sua città e l’ha dimenticata. Fiammetta attende invano il suo ritorno, ricordando i tempi dell’amore felice, mentre si strugge per la sua passione impossibile e per la gelosia. Il tormento è accresciuto dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il vero motivo della sua infelicità. Il marito, per confortarla,, la conduce proprio in quei luoghi della riviera napoletana che le ricordano la passata felicità, esacerbandone la disperazione.
L’opera ha la forma di una lunga lettera, rivolta alle donne innamorate. Essa riprende in prosa, dilatandolo alla misura di un vero e proprio romanzo, lo schema delle Eroidi di Ovidio, elegie sotto forma di lettere in versi in cui eroine del mito si rivolgevano ai loro amanti confessando le proprie pene d’amore. La lunga confessione dell’eroina consente una minuziosissima introspezione psicologica, che per noi acquista un sorprendente sapore di modernità.
E’ molto importante che la parola sia data alla donna stessa: nella tradizione cortese la donna era solo oggetto del vagheggiamento da parte dell’uomo, idolo remoto e irraggiungibile, privato di una propria soggettività; qui invece la donna diviene soggetto amoroso e confessa la propria passione, che è sentimentale ma anche carnale e sensuale.
Un antecedente può essere trovato nella Francesca del V canto dell’Inferno, che confessa il suo amore per Paolo in termini arditamente sensuali, ma mentre per Dante, da una prospettiva rigorosamente religiosa, l’infelice eroina era un esempio negativo di lussuria, da condannare senza remissione, Fiammetta, nel suo desiderio sensuale impossibile, ha tutta la simpatia e la partecipazione dell’autore.
Agisce infatti qui una concezione naturalistica dell’amore, che è considerato non più peccato, ma istinto naturale, legittimo in tutta la gamma delle sue manifestazioni: concezione che sarà alla base della rappresentazione dell’amore nel Decameron.

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IL NINFALE FIESOLANO
La simpatia per la tradizione fiorentina si esprime nella sua forma più compiuta nel Ninfale fiesolano. Si tratta di un poemetto in ottave, di ambiente idillico-pastorale, che rievoca le leggendarie origini di Fiesole e di Firenze. Al centro vi è essenzialmente l’amore di due giovani, il pastore Africo e la ninfa Mensola, contrastato dalle ferree leggi imposte dalla dea Diana, che costringe le ninfe alla castità.
Il    poemetto risente di numerosi modelli classici (Virgilio e Ovidio in particolare), ma è assente il peso erudito che caratterizza le altre opere fiorentine di Boccaccio; manca anche lo schema allegorico della Comedìa delle Ninfe fiorentine: qui vi è solo la rappresentazione di un mondo popolare, nei suoi costumi semplici e nei suoi sentimenti elementari. Anche il linguaggio e il metro hanno il ritmo facile, la grazia fresca e spontanea dei cantari popolareschi toscani. Questi amori pastorali, che si svolgono sullo sfondo di una natura idillica, sono avvolti da un’atmosfera di ingenua favola.
La concezione dell’amore che vi domina è quella naturalistica che si è già sottolineata: lo sbocciare del sentimento e del desiderio tra i due giovani è qualche cosa di innocente, tanto che in confronto ad esso appaiono barbare e crudeli le leggi della dea Diana che impongono la castità. Quello dell’innocenza dell’amore giovanile è un tema che avrà poi molto peso nel Decameron.

Pubblicato da bmliterature

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