Giovanni Giolitti e la democrazia

giolitti_nel_testoL’ASCESA POLITICA DI GIOLITTI

Dopo la crisi di fine secolo, conclusa con l’uccisione del re Umberto I, sulla scena politica italiana si affermò la figura liberale di Giolitti (1842-1928). A differenza dei precedenti ministri, non vantava un passato nobile e risorgimentale, ma aveva subito ricevuto importanti cariche statali, infatti, a soli ventisette anni, era stato nominato caposezione del ministero delle Finanze.
La vera e propria carriera politica iniziò nel 1882 quando venne eletto tra i liberal moderati del Parlamento. Durante il governo di Crispi divenne anche ministro del Tesoro e nel 1892 assunse per la prima volta la guida del governo. Un anno dopo, però, fu costretto a dimettersi a causa di uno scandalo bancario.
All’inizio del 1900 tornò alla vita politica diventando ministro dell’Interno e nel 1903 assunse nuovamente la guida del governo che manterrà fino al 1914.

UN POLITICO DI IDEOLOGIA LIBERALE

Giolitti era quindi un liberale moderato che da un lato era a favore della centralità del Parlamento come strumento di mediazione degli interessi della società; dall’altro lato credeva che il governo della cosa pubblica dovesse spettare solo ai ceti più colti e benestanti.
Giolitti era un forte sostenitore della proprietà privata e della libertà economica. Per questo motivo la borghesia, per Giolitti, era la classe sociale più importante per il paese, perché è l’unica classe che ha i valori di innovazione e di rischio imprenditoriale grazie ai quali l’Italia è riuscita a recuperare il ritardo storico nei confronti delle altre nazioni europee.

ATTENTO OSSERVATORE DELLA REALTÀ SOCIALE

Giolitti era un uomo concreto che cercava sempre di adattare le proprie convinzioni ideali con le forze reali della società. Sapeva che l’Italia del 1900 era caratterizzata da ingiustizie sociali perché gran parte della popolazione lavorava in condizioni indegne e che il ceto medio-basso era escluso dalla vita politica a causa di una legge elettorale che continuava a negare il suffragio universale.
La maggior parte della società italiana era contraria allo stato liberale e dava fiducia al movimento operaio e socialista o a quello cattolico. Per rispettare gli interessi del popolo bisognava imporre un’azione di governo diretta a democratizzare la vita politica e promuovere lo sviluppo economico perché la società era fratturata ed il paese era ancora fortemente agricolo.

LA DEMOCRATIZZAZIONE DELLA VITA POLITICA8-fondazione-della-cgil-1-10-1906

Giolitti era molto attento alla realtà e osservava la crescita, in quel periodo, del movimento operaio e del Partito socialista italiano (1892).
Nel 1906 nacque la CGL (Confederazione generale del lavoro), il primo sindacato nazionale d’ispirazione socialista. Giolitti era un liberale che non simpatizzava il movimento socialista, però si rendeva conto che non poteva opporsi perché la sua crescita simboleggiava un processo storico inevitabile e legittimo: non poteva essere negato il diritto di organizzarsi in un sindacato e di battersi per ottenere migliori condizioni lavorative. Anzi, Giolitti pensava che lo stato liberale avrebbe dovuto favorire la nascita di un sindacato riconosciuto legalmente in modo da indebolire quelli che erano i pensieri estremi e rivoluzionari del movimento operaio: quanto più i lavoratori avessero imparato ad affrontare in modo civile e pacifico le controversie, tanto più ne sarebbero uscite rafforzate la pace sociale e la stabilità dello stato.

IL PROBLEMA DEL SUFFRAGIO

Un problema da affrontare fu quello dell’allargamento del suffragio. Nel 1912, Giolitti, con una profonda riforma del sistema elettorale, ampliò l’elettorato da 3,3 a 8,6 milioni instaurando il suffragio universale maschile. In base a questa riforma gli uomini in grado di leggere e scrivere potevano votare già all’età di 21 anni, mentre gli analfabeti potevano votare solo dopo il compimento del trentesimo anno. Inoltre, poteva votare chi aveva già prestato sevizio militare.

IL RAPPORTO CON I CATTOLICI

Dopo la riforma elettorale, occorreva sistemare il rapporto politico con le masse cattoliche. Per questo venne stretto il Patto Gentiloni grazie al quale i cattolici accettavano di votare candidati liberali che avessero difeso i valori cristiani. Si trattò di un primo passo importante per l’integrazione dei cattolici nella vita politica nazionale.

Pubblicato da bmliterature

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