Figlio di Cavalcante (collocato tra gli eretici nel canto X dell’Inferno) Guido nacque a Firenze intorno al 1258 da una famiglia tra le più potenti e ricche di Firenze, di orientamento guelfo; si schierò dalla parte dei Bianchi e partecipò intensamente alle vicende politiche della città. Nel 1280 fu uno dei garanti della pace tra Guelfi e Ghibellini. Il carattere deciso e animoso del suo temperamento emerge dal tentativo di uccidere il capo dei Guelfi Neri, Corso Donati, che pare avesse in precedenza attentato alla sua vita. Nel 1284 e nel 1290 fu eletto fra i rappresentanti del Consiglio del Comune. Nel giugno del 1300 fu tra i capi delle opposte fazioni condannati dai priori (fra cui sedeva l’amico Dante) all’esilio, per riportare la pace in città. Dal confino di Sarzana fu richiamato a Firenze il 19 agosto ma, ammalato probabilmente di malaria, morì poco dopo.
Di Cavalcanti ci sono pervenuti 52 componimenti, fra cui 36 sonetti, 11 ballate, 2 canzoni, 2 stanze isolate e un mottetto. La profonda cultura filosofica del poeta si rivela nella sua canzone “manifesto”, Donna me prega, un testo estremamente arduo e oscuro, di difficile interpretazione. La critica più recente vi ha individuato un’impostazione che si rifà alle tesi di Averroè, un interprete arabo di Aristotele, il cui pensiero affascinò molti intellettuali italiani, in particolare nell’università di Bologna, per il suo carattere eterodosso (che va contro l’ideologia comune o ufficiale dell’ortodossia). Al centro della canzone sono gli effetti prodotti dall’amore, dalla vista della bellezza della donna nasce una figura ideale e intellettuale, che esercita il suo influsso sull’anima sensitiva dell’uomo. Cadendo in balìa dell’anima sensitiva, l’amore, che è in origine luminoso, perde la sua qualità, diventa una forza oscura, che esclude ogni dominio razionale. Di qui scaturiscono gli effetti sconvolgenti dell’amore sul soggetto che ama: esso appare come una forza tenebrosa e terribile, che si impossessa dell’anima generando paura, angoscia, sofferenza. Nascono da queste concezioni i temi più caratteristici che ricorrono nella poesia cavalcantiana: lo sbigottimento, il tremore, le lacrime, i sospiri, che conducono l’amante alla distruzione fisica e spirituale. L’immagine della donna, avvolta come da un alone mistico, resta lontana, irraggiungibile, inconoscibile. Il dramma si svolge tutto nell’interno dell’animo dell’amante. Ed è un dramma che si oggettiva in una serie di personificazioni, che agiscono come autentici personaggi: l’immagine ideale della donna, adorata nel suo <<valore>>, che è una pura realtà mentale, gli <<spiriti>> che presiedono alle varie facoltà dell’anima, la <<figura>> esteriore del poeta, che ha solo l’apparenza della vita, dopo che gli spiriti sono stati dispersi, la <<voce sbigottita e deboletta>>, che <<parla dolore>>. Su queste personificazioni piomba la violenza devastante dell’amore, che le aggredisce, le disperde: ne deriva una dolorosa scissione interiore, che conduce alla morte.
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