Il conflitto tra le tredici colonie inglesi e la madrepatria

Dal punto di vista politico c’è una libertà all’interno delle tredici colonie perché ognuna aveva un proprio governatore, il quale veniva eletto dai comuni e che regnava in nome di Giorgio III, re d’Inghilterra. Lo stesso governatore era affiancato in ogni colonia da un’assemblea fatta da deputati e rappresentanti dei coloni. Si trattava di assemblee elettive delle classi più ricche. Tali assemblee favorivano l’abitudine alla libera discussione e al confronto delle idee.
Dal punto di vista militare, ogni colonia presentava una guarnigione britannica che difendeva la colonia da un possibile attacco o a nord, dal Canada o dalle tribù indiane.
In seguito ogni singola colonia verrà a creare un proprio piccolo esercito formato da cittadini escludendo però gli schiavi ed altri uomini per caratteri religiosi.Dal punto di vista dell’autogoverno, nelle colonie c’era una sorta di libertà. Invece, l’Inghilterra fa sentire maggiormente il fiato addosso dal punto di vista economico: ponevano dei limiti molto forti; la maggior parte delle attività erano subordinate agli interessi della madrepatria.

  1. Le colonie americane dovevano limitarsi alla produzione di materie prime senza alcuna trasformazione in un prodotto finito.
  2. I commerci si potevano intrattenere esclusivamente con l’Inghilterra, vendendo in Inghilterra le materie prime.
  3. Tutti i trasporti delle merci dovevano essere affidate a navi delle compagnie inglesi.

La situazione venne a precipitare dopo la guerra dei Sette anni, una guerra estremamente dispendiosa e lunga per l’Inghilterra che cercò di arricchire le casse dello stato imponendo dei nuovi prelievi fiscali ai coloni: lo Sugar act e lo Stamp act, delle nuove tasse che riguardano lo zucchero e i giornali, i documenti pubblici.
La reazione dei coloni è fortissima perché fino a quella data (1775) avevano avuto un regime fiscale più agevolato rispetto agli abitanti dell’Inghilterra.

96175-004-A4E3929FLa Stamp act prevedeva l’applicazione della marca da bollo su un qualunque atto ufficiale e addirittura sui giornali a carico dell’acquirente. La Sugar act impone un dazio doganale sullo zucchero importato e sulla melassa. La reazione fu che le assemblee di ogni singola colonia fecero una serie di petizioni in cui protestarono sull’introduzione di queste tasse. Alla fine Giorgio III ascolta le rimostranze dei coloni, però l’Inghilterra aveva bisogno in qualche modo di far entrare soldi nelle casse dello Stato e nel 1766 emana un’altra legge in cui sostiene che tutti i coloni che abitano delle colonie sono soggetti alla volontà del parlamento inglese (Declaratory act), di conseguenza le stesse tasse e imposizioni fiscali pagate dai cittadini britannici devono essere pagate anche dai coloni. Questo portò a delle forti proteste, i coloni non trovarono giusto essere colpiti da tasse decise da un Parlamento di cui non c’era nessun rappresentante americano. Viene emanato allora uno slogan: no taxation without representation (niente tasse senza rappresentanza).
La posizione di forza dei coloni viene ad aumentare quando lo scenario politico cambia. Nel momento in cui dopo la guerra dei sette anni il Canada non era più francese, i coloni non si sentono più minacciati dai francesi e quindi non sentivano più il bisogno di essere protetti dalla corte inglese e radicalizzarono ancora di più la protesta fino a trasformare gli atti dimostrativi in scontri. Nel 1770, a Boston, durante una rivolta vennero uccisi cinque coloni. Questo è l’inizio di una vera e propria lotta.
Ciò che fece traboccare il vaso è l’introduzione di una nuova tassa, la tassa sul tè. Quest’altra tassa porta nuovamente ad una manifestazione chiamata Boston tea party, in cui dei coloni, travestiti da pellirosse, salgono su una nave inglese che trasportava il tè, gettando in mare tutte le merci. Questo fu un atto di ribellione ed è un atto che portò ad un irrigidimento dei rapporti tra re Giorgio III e i coloni che sarà alla base della rivoluzione americana.

Pubblicato da bmliterature

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