Il Dolce Stil Novo

Dolce Stil NovoNegli ultimi decenni del XIII secolo, a Firenze, che è all’avanguardia nello sviluppo delle nuove forme di vita economica, sociale e politica e si avvia a divenire il centro guida della cultura italiana, si forma il nucleo più importante di una tendenza poetica, il <<dolce stil novo>>, con cui la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase culminante in Italia. I poeti che ne sono esponenti, i fiorentini Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, a cui si aggiunge il pistoiese Cino de’ Sigibuldi, si staccano nettamente dagli orientamenti dei rimatori toscani della generazione di Guittone e dalla precedente tradizione siciliana e provenzale. Si tratta di poeti dalla forte e spiccata personalità, per cui è difficile fissare i tratti distintivi di una vera e propria scuola.
Si possono però individuare alcune tendenze comuni. Innanzitutto ciò che li distingue con più evidenza, sul piano formale, è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici cari a Guittone e ai suoi seguaci e la scelta di uno stile più limpido e piano, che viene appunto definito col termine tecnico <<dolce>>.
Per quanto riguarda i contenuti, all’omaggio feudale rivolto alla dama, che era tipico dell’amor cortese, si sostituisce una visione più spiritualizzata della donna, che viene esaltata come angelo in terra e dispensatrice di salvezza (anche se per questi temi la novità non è assoluta, in quanto spunti affini si potevano già rinvenire sporadicamente nella tradizione precedente).

amor-cortese-dolce-stil-novo-il-principe-abusivoPiù sensibile è invece lo stacco dalla tradizione in due altri aspetti: l’attenzione concentrata con più rigore sull’interiorità dell’amante, con l’esclusione di ogni riferimento a situazioni esterne, e il fervore intellettualistico, che si rifà ad un bagaglio filosofico e scientifico di provenienza universitaria. Inoltre si coglie l’aspirazione a sostituire la corte reale, che era lo sfondo della poesia provenzale e siciliana, con una corte tutta ideale, composta da una cerchia ristretta di spiriti eletti, dotati di alta cultura e disdegnosi del volgo “villano” e per questo uniti fra loro da un vincolo geloso ed esclusivo. Questa sostituzione di una corte ideale a quella reale risponde al nuovo ambiente sociale cittadino in cui si sviluppa questa poesia, che esclude ovviamente la presenza della corte. Lo <<stil novo>> si rivela l’espressione dello strato più elevato delle nuove classi dirigenti comunali che aspirano a presentarsi come una nuova aristocrazia, fondata non più sulla nobiltà di sangue ma sull'<<altezza d’ingegno>> (la formula è di Dante, Inferno, X, v. 59) e sulla raffinatezza del sentire, per distinguersi dai ceti inferiori.
Uno dei temi centrali è appunto l’identificazione di <<amore>> e <<gentilezza>> (che ha il senso di “nobiltà”): proprio il saper amare <<finemente>> (che vuol poi dire saper scrivere poesia d’amore, cioè essere di raffinata cultura) è indizio di una superiore nobiltà d’animo. E la <<gentilezza>>  è un dato di natura, legato alle qualità personali, non alla nascita e al titolo ereditario. Questi motivi erano già presenti nella tradizione cortese precedente, ma il contesto in cui vengono ripresi ne modifica profondamente il senso. Nella lirica trobadorica la rivendicazione della nobiltà dello spirito di contro a quella del sangue rispondeva alla visione di un’aristocrazia inferiore, di recente acquisizione, che voleva entrare a far parte a pieno diritto dell’aristocrazia feudale. Negli stilnovisti si tratta invece della rivendicazione dei ceti emergenti nel contesto urbano, che si contrappongono alla vecchia aristocrazia e vogliono collocarsi al suo posto nella posizione egemone all’interno della società.

ORIGINE DELL’ESPRESSIONE <<DOLCE STIL NOVO>>

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La formula <<dolce stil novo>>, usata comunemente per designare il gruppo, è stata coniata da Dante. Nel canto XXIV del Purgatorio. Al rimatore guittoniano Bonagiunta da Lucca (Lucca 1220 ca-90 ca) che gli chiede se egli sia colui che <<fòre / trasse le nove rime>> (vv. 49-50: inventò un nuovo modo di fare poesia) componendo la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, Dante risponde: <<I’ mi son un, che quando / Amor mi spira, noto, ed a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando>> (vv. 52-54: Io sono un poeta che, quando Amore mi ispira, scrivo, ed esprimo esattamente ciò che mi detta nel cuore.)
Dopo aver ascoltato questa dichiarazione di poetica, Bonagiunta proclama di aver finalmente compreso l’ostacolo (<<il nodo>>, v. 55). Si può cogliere qui il forte distacco polemico nei confronti della precedente poesia cortese italiana, individuata in due delle sue manifestazioni più significative, la maniera siciliana e quella guittoniana. La discriminante tra la poesia vecchia e quella nuova è indicata da Dante in una più stretta aderenza dei poeti a ciò che Amore <<ditta dentro>>.

PROTAGONISTI DELLO STILNOVISMO

Precursore del gruppo degli stilnovisti è da considerare il bolognese Guido Guinizzelli, appartenente alla generazione precedente a quella dei maggiori esponenti del gruppo degli stilnovisti, Guido Cavalcanti e il giurista Cino de’ Sigibuldi da Pistoia, che presenta già la fisionomia dell’epigono: si ripetono in lui, ridotti a schemi, tutti i motivi dello Stilnovismo.
Anche Dante Alighieri, nella sua giovinezza, fa parte del gruppo, e scrive liriche in cui riprende temi e forme di Guinizzelli e Cavalcanti. Ma ben presto si stacca da queste tendenze, per seguire altre direzioni. Lo dimostra l’operetta in cui raccoglie parte di queste liriche, corredandole con un commento in prosa, la Vita nuova. Qui la successione studiata nelle liriche e il commento che le accompagna trasformano la vicenda amorosa in una complessa vicenda mistica e simbolica, un viaggio verso Dio con la donna amata per guida, che prelude da vicino al disegno della Commedia. La contraddizione tra amore e religione, che attraversava tutta la tradizione della poesia cortese, è risolta da Dante a favore della religione, con il rifiuto di ogni ambigua contaminazione. Nella Commedia la trasfigurazione teologale dell’amore, per cui la donna, Beatrice, diviene allegoria della Teologia, si accompagna alla condanna senza remissione dell’amor cortese e stilnovistico, visto come sentimento peccaminoso e pieno di insidie (confronta l’episodio di Paolo e Francesca, Inferno, V). Non solo, ma Guido Guinizzelli, pur ammirato da Dante per la sua grandezza letteraria, è collocato nel purgatorio tra i lussuriosi.

Pubblicato da bmliterature

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