Nel XIII secolo il modello della poesia siciliana ha acquisito grande prestigio ed ha trovato diffusione in altre zone della penisola italiana, soprattutto in Toscana. Ne è testimonianza il fatto che noi possediamo i testi dei poeti siciliani attraverso la trascrizione di copisti toscani, che ne toscanizzano la lingua. Dopo il crollo della monarchia sveva, con la morte di Federico II (1250) e del figlio Manfredi (1266), e la conseguente dissoluzione della scuola siciliana, l’eredità di questa viene raccolta proprio dai poeti toscani.
Firenze, Arezzo, Siena, Pisa, Lucca -, dove la vita civile è dinamica e percorsa da conflitti e lotte, tra città, tra classi, tra fazioni. Il poeta non è più il burocrate (cioè l’impiegato di alto livello che spesso esercita le proprie funzioni con formalismo eccessivo) ligio e il cortigiano raffinato, ma il cittadino che è inserito nella vita politica della sua città, e ne vive intensamente le passioni, riversandole nella sua attività poetica. Pertanto si può veder affiorare, nella lirica toscana, quella tematica civile e morale che era ignota ai poeti siciliani: l’esempio più evidente è la grande canzone politica con cui Guittone d’Arezzo, il poeta più significativo di questa esperienza poetica, dopo la battaglia di Montaperti (1260) tra Guelfi che riconoscevano la superiorità del Papa e Ghibellini che riconoscevano la superiorità dell’Imperatore, compiange la sconfitta di Firenze guelfa ed esalta la sua passata grandezza.