L’ideale Cavalleresco e l’ideale Cortese

RolandfealtyNell’Alto Medio Evo, fino al secolo XI, la cultura è monopolio della Chiesa e la figura dell’intellettuale si identifica con quella del chierico e la sua lingua esclusiva è il latino. La maggioranza della popolazione tuttavia non è più in grado di comprendere il latino, ma impiega altre parlate (i cosiddetti “volgari”) confinate ad un uso solo orale e destinate alle finalità pratiche quotidiane. Perché si passi a usare il volgare anche per scopi culturali, e in particolare letterari, occorrono due condizioni: che un nuovo gruppo sociale, “laico“, abbastanza forte e fornito di una chiara coscienza di sé, senta il bisogno di esprimere la propria visione della vita e i propri valori; che ci sia un pubblico “laico”, di lingua esclusivamente volgare, che proponga una domanda di opere letterarie.
Nei paesi dell’area linguistica romanza queste condizioni si verificano storicamente per la prima volta in territorio francese verso la fine dell’XI secolo.

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In Francia è infatti particolarmente sviluppata e forte la società feudale e il ceto dominante è composto da un’aristocrazia di origine guerriera, ma questa con il passare del tempo si dimostra insufficiente per sopperire ai bisogni di continue guerre. Il vecchio ceto feudale viene perciò lentamente affiancato nel controllo dei territori dalla cavalleria, la parte più importante degli eserciti, costituita dai soldati a cavallo. Entrano a far parte di questa nuova classe militare i figli non primogeniti dell’antica classe nobiliare, esclusi dalla successione ereditaria dei feudi, e gli appartenenti agli strati inferiori della nobiltà, che non avevano mai posseduto dei feudi o li avevano perduti.
E’ per opera di questo ceto che si forma l’ideale cavalleresco, repertorio dei valori e dei modelli di vita e comportamento che saranno cantati nella letteratura dell’area linguistica romanza.
I valori fondamentali del mondo cavalleresco possono essere considerati:

  • la prodezza, vale a dire il valore nell’esercizio delle armi, il coraggio e lo sprezzo del pericolo;
  • la sete di gloria e il senso dell’onore, da tutelare ad ogni costo e con ogni mezzo;
  • la lealtà, il rispetto dell’avversario e del codice minuzioso che regola il combattimento;
  • la generosità con i vinti;
  • il rispetto della parola data;
  • la fedeltà al signore o al sovrano.

Un altro principio basilare proposto dalla visione cavalleresca è che la vera nobiltà è quella dell’animo, non quella esteriore, dalla nascita e del tenore di vita, un presupposto destinato ad avere grandi sviluppi in seguito, nella civiltà comunale italiana, che insisterà sul valore della “gentilezza” come dato naturale della persona.

La Chiesa tenta ben presto di operare una mediazione tra la concezione guerresca e quella cristiana. Gli originari valori guerreschi, rozzi e barbarici, vengono mitigati, ingentiliti: il cavaliere deve mettere la sua prodezza al servizio dei deboli e degli oppressi, in particolare in difesa delle donne; la guerra non è più l’esercizio brutale della pura forza, ma deve essere indirizzata alla difesa della vera fede da tutte le insidie che la minacciano. Nasce inoltre il concetto di “guerra santa” contro gli infedeli musulmani che occupavano i luoghi santi in Palestina e le terre cristiane nella penisola iberica. Non è un caso che questa visione della vita si affermi proprio nel periodo storico in cui cominciano a essere organizzate le prime crociate, attraverso le quali la casta militare della cavalleria acquista un ruolo sociale determinante. Proprio in concomitanza con le crociate nascono infatti in Francia le prime grandi opere letterarie in volgare, le canzoni di gesta, poemi epici che esaltano le imprese di eroici cavalieri in difesa della fede.

ideale_cavalleresco_fotoLe canzoni di gesta riflettono forme di vita feudale ancora semplici, fortemente caratterizzate dallo spirito di una casta militaresca. Ma col passare dei decenni, nel corso del XII secolo, si affacciano modelli di comportamento più raffinati ed eleganti.
I valori cavallereschi della classe feudale trapassano nell’ideale cortese (così chiamato perché i centri della vita associata sono le corti dei grandi signori feudali del Sud e del Nord della Francia), che ne è lo sviluppo e il compimento, e rappresenta la visione più matura della civiltà feudale. Alle virtù tipicamente militaresche, come la prodezza, l’onore e la lealtà, che continuano a esercitare grande fascino, si aggiungono altre virtù per così dire “civili”:

  • la liberalità: il disprezzo di ogni meschino attaccamento all’interesse materiale e la generosità disinteressata nel donare;
  • la magnanimità: la capacità di compiere gesti sublimi di rinuncia e di sacrificio, che rivelano la mancanza di ogni gretto interesse egoistico;
  • il culto della misura: la capacità di contenersi, il sapiente dominio di sé, l’atteggiamento signorile che non scade mai in eccessi ritenuti volgari;
  • il culto delle forme di vita lussuose e squisite, delle belle cose, cibi, vesti e così via.

La cortesia è in ideale di pochi, di un’élite gelosamente chiusa, che respinge tutti coloro che non sono spiritualmente all’altezza di quei valori e stili di vita. Costoro vengono sprezzantemente definiti “villani“: infatti la “villa”, cioè la campagna, abitata dai contadini che lavorano, è ritenuta il luogo per eccellenza della rozzezza. L’antitesi cortesia-villania è uno dei fondamenti della concezione della vita di questa élite, e avrà un’importanza centrale anche nelle sue espressioni letterarie.
In questa concezione acquista un rilievo primario la donna, che nelle rudi idealità militaresche della cavalleria originaria non aveva posto (se non come creatura debole da difendere), mentre ora diviene il simbolo stesso della “cortesia” e della “gentilezza”, il soggetto intorno a cui ruota tutto questo sistema di virtù; anzi, è ritenuta addirittura la fonte da cui esse si originano, perché ingentilisce tutti coloro che vengono in contatto con lei. Questo culto riflette il nuovo ruolo che la donna di aristocratica condizione assume all’interno della corte. Essa, pur essendo priva del potere reale, che resta in mano all’uomo, diventa il centro ideale della vita associata delle élites, specie quando il signore è assente per lunghi periodi. Il culto della donna diviene il tema dominante della letteratura di questo periodo, e si traduce in una particolare concezione dell’amore.

Pubblicato da bmliterature

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