Luigi Pirandello – La visione del mondo, la poetica e le novelle

La visione del mondo

IL VITALISMO
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Alla base della visione del mondo di Pirandello vi è una concezione vitalistica: la realtà tutta è “vita”, “perpetuo movimento vitale”, inteso come un eterno divenire, un “flusso continuo indistinto”, come lo scorrere di un magma vulcanico. Tutto ciò che si distacca da questo flusso, e assume “forma” distinta e individuale, si irrigidisce e comincia a “morire”.
Così avviene dell’identità personale dell’uomo. In realtà noi non siamo che parte indistinta nell’eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. In realtà questa personalità è un’illusione e scaturisce solo dal sentimento soggettivo che noi abbiamo del mondo. Oltre a noi stessi, anche gli altri, vedendoci ciascuno secondo la sua prospettiva ci danno determinate “forme”. Noi crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ognuno si associa ed associa ad altri una maschera.
Ciascuna di queste “forme” è una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone la società. Sotto questa maschera non vi è un volto definito, immutabile: non c’è “nessuno”, o meglio vi è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi non siamo più quello che eravamo prima.

LA “TRAPPOLA” DELLA VITA SOCIALE
Queste maschere sono sentite come una “trappola”, come un “carcere” in cui l’individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi. Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali. La società gli appare come un’”enorme pupazzata”, una costruzione artificiosa e falsa che isola irreparabilmente l’uomo dalla “vita”, lo impoverisce e lo irrigidisce conducendolo alla morte.
Alla base di tutta l’opera pirandelliana si può scorgere un rifiuto della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli che essa impone, e un bisogno disperato di autenticità, immediatezza e spontaneità vitale. Pirandello è un ribelle insofferente dei legami della società, contro cui si scaglia la sua critica impietosa. Le convenzioni, le finzioni su cui la vita sociale si fonda, le maschere e le “parti” fittizie che essa impone, vengono nella sua opera narrativa e teatrale irrise e disgregate, soprattutto quella dell’Italia giolittiana. L’istituto in cui si manifesta per eccellenza la “trappola” della “forma” che imprigiona l’uomo è la famiglia. Pirandello è acutissimo nel cogliere il carattere opprimente dell’ambiente familiare.
L’altra “trappola” è quella economica, costituita dal lavoro. I suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti, di un’organizzazione gerarchica oppressiva. Per Pirandello non si può uscire da questa “trappola”. Il suo pessimismo è totale.

IL RIFIUTO DELLA SOCIALITA’
L’unica via di relativa salvezza dalla trappola che si dà ai suoi eroi è la fuga nell’irrazionale:

  • nell’immaginazione che trasporta verso un “altrove” fantastico, come per Belluca di Il treno ha fischiato, che sogna paesi lontani e attraverso questa evasione può sopportare l’oppressione del suo lavoro e della famiglia;
  • oppure nella follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza, l’arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all’assurdo e rivelandone l’inconsistenza.

Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell’opera pirandelliana ad una figura ricorrente, il “forestiere della vita”, colui che “ha capito il gioco”, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale e si esclude, si isola, guardando vivere gli altri dall’esterno della vita e dall’alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di assumere la sua “parte”, osservando gli uomini imprigionati dalla “trappola” con un atteggiamento “umoristico”, di irrisione e pietà.
E’ quella che Pirandello definisce anche “filosofia del lontano”: essa consiste nel contemplare la realtà come da un’infinita distanza, in modo da vedere in una prospettiva straniata tutto ciò che l’abitudine ci fa considerare “normale”, e in modo quindi da coglierne l’inconsistenza, l’assurdità, la mancanza totale di senso. In questa figura di eroe si proietta la condizione stessa di Pirandello come intellettuale che rifiuta il ruolo politico attivo perseguito dagli altri intellettuali del primo Novecento e, nel suo pessimismo radicale, si riserva un ruolo contemplativo del reale.

La poetica

L’”UMORISMO”
L’umorismo, che risale al 1908 è un testo chiave per penetrare nell’universo pirandelliano. Il volume si compone di una parte storica, in cui l’autore esamina varie manifestazioni dell’arte umoristica, e di una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di umorismo.
L’opera d’arte, secondo Pirandello, nasce “dal libero movimento della vita interiore”, la riflessione, al momento della concezione, resta invisibile. Nell’opera umoristica invece la riflessione non si nasconde, non è una forma del sentimento, ma si pone dinanzi ad esso come un giudice, lo analizza e lo scompone. Di qui nasce il “sentimento del contrario”, che è il tratto caratterizzante l’umorismo per Pirandello. Lo scrittore propone un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico. Ma se interviene la riflessione, si capisce che non si può solo ridere. Dall’avvertimento del contrario (comico) si passa al sentimento del contrario (umoristico).
La riflessione nell’arte umoristica coglie così il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permette di vederla da diverse prospettive contemporaneamente. Se coglie il ridicolo di una persona, di un fatto, ne individua anche il fondo dolente e drammatico. Tutto ciò vale anche al contrario, di un fatto serio non può evitare di far emergere anche il ridicolo. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno sempre insieme.

Le novelle

LE NOVELLE PER UN ANNO
Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua attività creativa. Si tratta di una produzione copiosissima, nata per lo più in modo occasionale, per la pubblicazione su quotidiani o riviste. Tuttavia lo scrittore si preoccupò subito di raccoglierla in volumi. Nel 1922 progettò una sistemazione globale in ventiquattro volumi, col titolo complessivo di Novelle per un anno.
A differenza delle raccolte classiche, di Boccaccio o dei novellieri rinascimentali, nella raccolta pirandelliana non si riesce a individuare un ordine determinato.

LE NOVELLE “SICILIANE”
All’interno della raccolta si possono distinguere le novelle collocate in una Sicilia contadina da quelle focalizzate su ambienti piccolo borghesi continentali. Le novelle siciliane possono a prima vista ricordare il clima verista, ma osservate più attentamente rivelano di appartenere ad una dimensione diversa in quanto sono assenti i temi veristi.
Pirandello diverge dal Verismo in due direzioni: da un lato riscopre il sostrato mistico ancestrale della terra siciliana, fondando il racconto su immagini archetipiche come quelle della Terra Madre o della luna, ed in questo si rivela più vicino al clima decadente (anche se è ben lontano dalla sensualità infuocata e dal gusto di regredire di un mondo primitivo e violento che caratterizzano le novelle di d’Annunzio); dall’altro lato quelle figure di un arcaico mondo contadino sono deformate da una carica grottesca che le trasforma in immagini bizzarre, stravolte ai limiti della follia e oltre, e le vicende divengono casi paradossali, estremizzati sino all’assurdo.

LE NOVELLE “PICCOLO BORGHESI”
Nelle pagine pirandelliane si allinea una successione sterminata di figure umane che rappresentano la condizione piccolo borghese, una condizione meschina, grigia, frustrata. Queste figure avvilite e dolenti non sono che la metafora di una condizione esistenziale assoluta: il rapprendersi del movimento vitale in forme che lo irrigidiscono. La trappola in cui questi esseri sono prigionieri è costituita sistematicamente da una famiglia oppressiva e soffocante o da un lavoro monotono e meccanico, che mortifica e fa intristire l’individuo.
Tuttavia, l’analisi di Pirandello si appunta sulle convenzioni sociali che impongono all’uomo maschere fittizie e ruoli fissi, rivelando così la sua acrimonia antiborghese e il suo rifiuto anarchico di ogni forma di società organizzata.

L’ATTEGGIAMENTO “UMORISTICO”
Nel descrivere questo campionario di umanità Pirandello mette in opera il suo tipico atteggiamento “umoristico”. Lo scrittore si accanisce nel deformare espressionisticamente i tratti fisici, carica sino al parossismo i gesti e i movimenti, trasformando le figure umane in gesticolanti marionette. Porta all’estremo dell’inverosimiglianza e dell’assurdo i casi comuni della vita. Da tutto questo meccanismo assurdo scaturisce forzatamente il riso che è sempre accompagnato, in nome del sentimento del contrario, da una pietà dolente per un’umanità così avvilita.

Pubblicato da bmliterature

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Una risposta a “Luigi Pirandello – La visione del mondo, la poetica e le novelle”

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