“Lumi” politici ed economici

Uno spirito di libertà nella vita politica ed economica

Gli illuministi affidarono ai “Lumi” della ragione anche il compito di prescrivere le leggi e i criteri in base ai quali si deve regolare la vita sociale e politica. La loro riflessione si avviò da una domanda fondamentale: come organizzare e governare uno stato, così da assicurare il benessere del popolo e la “pubblica felicità“.
Le risposte da dare dagli illuministi furono diverse, ma convergenti rispetto a una convinzione di fondo: il netto rifiuto di ogni potere che pretendesse di derivare direttamente da Dio e perciò, di imporsi anche alle coscienze dei singoli individui; di un potere assoluto, che pretendesse di dare ordini ai sudditi senza fornire loro giustificazioni circa le proprie scelte.
A partire da questa convinzione comune, i singoli pensatori illuministi divergevano poi nel merito delle loro proposte politiche.
Ma l’Illuminismo, sempre attento alle cose pratiche, si applicò anche a riflettere su come migliorare l’economia e i commerci. Il punto di vista rimaneva, anche qui, lo spirito di libertà: secondo gli illuministi, ogni individuo va lasciato libero di svolgere l’attività che desidera, senza aiuti ma anche senza limitazioni da parte degli stati. Ciò significava libertà di produrre e commerciare qualsiasi prodotto, libertà di comprare e vendere merci all’interno dello stato o fra stati diversi.

La monarchia costituzionale di Montesquieu

Charles_MontesquieuCharles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu (noto come Montesquieu, 1689-1755), pubblicò nel 1748 un’opera assai importante: Lo spirito delle leggi.
In essa, dopo aver esaminato le diverse forme di governo realizzatesi nella storia, teorizzò che qualsiasi stato esercita un’autorità nella quale si possono individuare tre parti, o meglio, tre poteri diversi:

  • il potere legislativo è il potere di emanare le leggi, cioè di stabilire delle regole (o norme) valide per tutti i cittadini;
  • il potere esecutivo è il potere di governare, di mettere in pratica le leggi, agendo in nome e per conto dello stato;
  • il potere giudiziario è il potere di amministrare la giustizia, cioè di risolvere le controversie fra i cittadini, processando e punendo chi commette delitti (o reati).

Secondo Montesquieu i tre poteri descritti non devono essere concentrati in una sola persona, o in un piccolo gruppo di persone d’accordo fra loro: in tal caso possono derivarne abusi e soprusi di ogni tipo. Al contrario, se i tre poteri sono separati e se vengono gestiti da persone o organismi diversi, ciascuno controllerà il potere dell’altro e cercherà di limitarlo con il proprio.
Il criterio raccomandato da Montesquieu, e prima di lui dall’inglese John Locke (Due trattati sul governo, 1690), è quello che si chiama principio della separazione dei poteri, ancora oggi alla base degli stati democratici. Montesquieu lo vedeva bene applicato nella monarchia parlamentare inglese, nella quale il re aveva il compito di applicare le leggi, ma non poteva deciderle, perché questo incarico spettava al Parlamento; il mancato rispetto delle leggi, infine, era punito da giudici indipendenti sia dal re sia dal Parlamento.
Il progetto di Montesquieu sarebbe stato fatto proprio dai seguaci del liberalismo; esso troverà realizzazione, nel corso dell’Ottocento, nei vari modelli di monarchia costituzionale.

Voltaire: tolleranza e dispotismo illuminato

inv. 1983.7.33François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778), sollevò invece due questioni: la tolleranza e il cosiddetto dispotismo illuminato.
In primo luogo, dice Voltaire, un governo dovrebbe evitare di costringere i suoi cittadini a seguire idee a cui non credono. In base al medesimo criterio di tolleranza dovrebbero comportarsi le Chiese, evitando d’imporre agli individui un certo credo religioso, escludendo tutti gli altri.
Per quanto riguarda il dispotismo illuminato, Voltaire si rendeva conto che, ai suoi tempi, l’assolutismo era una realtà troppo radicata per poter cedere facilmente ad altri sistemi. Egli dunque, fu l’unico, tra gli illuministi principali, che ammise anche l’ipotesi di un governo dispotico o di un sovrano autoritario a patto, però, che un simile sovrano usi il suo potere a beneficio dei cittadini, difenda gli interessi della borghesia, che produce e sviluppa l’economia, contro quelli della nobiltà feudale, e si dimostri favorevole al progresso e alla cultura. Voltaire vide incarnato questo prototipo di principe nella figura di Federico II di Prussia.

Le teorie democratiche di Rousseau

640px-Jean-Jacques_Rousseau_(painted_portrait)Il terzo grande pensatore politico dell’Illuminismo fu il ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1712-78). Nella sua opera più importante, il Contratto sociale, egli elaborò l’idea di un vero e proprio stato democratico, ben più avanzato rispetto al dispotismo illuminato auspicato da Voltaire o al costituzionalismo di Montesquieu.
Secondo Rousseau, gli uomini nascono liberi e uguali. Essi “cedono” poi una parte della loro libertà allo stato, perché sanno che vivere insieme è più conveniente che vivere da soli. Lo stato nasce quindi per un patto (un contratto, dice Rousseau) fra i cittadini, è una loro creazione.
I cittadini desiderano però conservare la loro libertà e la loro uguaglianza originarie: lo stato non ha diritto di violarle. Il potere politico appartiene a loro, cioè al popolo (dottrina della sovranità popolare). Tutti i cittadini sono uguali di fronte allo stato; tutti devono godere di uguali diritti politici. Le leggi vanno approvate con il consenso di tutti; in questo modo la legge corrisponderà alla “volontà generale” della nazione. I governanti (inclusi i sovrani) sono semplicemente dei funzionari, ai quali il popolo ha affidato un compito e ai quali, dunque, può revocarlo.
Il pensiero democratico di Rousseau ebbe grande successo: esso influenzò direttamente le due rivoluzioni, americana e francese, e due solenni Dichiarazioni (la Dichiarazione d’indipendenza americana, del 1776, e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, del 1789).
Per il momento, però, ad avere maggiore successo fu l’assolutismo illuminato proposto da Voltaire: un modello meno avanzato, ma più semplice da applicare.

Le proposte economiche: fisiocrazia e liberalismo

Gli illuministi raccomandarono un nuovo spirito di libertà anche nelle cose dell’economia. Ognuno deve poter svolgere l’attività che desidera. I governi devono garantire libertà di iniziativa e di commercio, dentro e fuori i singoli stati.
Si trattava, per l’epoca, di idee rivoluzionarie. Nel Settecento, infatti, l’economia e il commercio non erano affatto liberi, per più motivi. Per comprare e vendere merci, occorrevano licenze e permessi, che il sovrano e i suoi funzionari potevano concedere a loro piacimento. Per far entrare e uscire le merci bisognava pagare tasse o dazi salati. Infine, le vecchie corporazioni di arti e mestieri restavano in vita e ostacolavano l’ingresso di nuovi individui e sistemi nella produzione manifatturiera.In questo contesto l’Illuminismo fece le sue proposte, molto innovative, François Quesnay, fra il 1757 ed il 1758, pubblicò nell’Enciclopedia l’articolo Grani, esponendo i princìpi della sua nuova dottrina: la fisiocrazia (“potere, governo della natura”). Secondo Quesnay, è l’agricoltura a costituire la vera fonte della ricchezza. Da questa premessa Quesnay trasse due conseguenze: da una parte criticò le teorie mercantilistiche, che avevano privilegiato lo sviluppo delle manifatture e le esportazioni, per rifornire lo stato di metalli preziosi; dall’altra parte auspicò l’apertura alla libera commercializzazione dei prodotti agricoli, in particolare dei cereali.
Allineato a queste premesse fu il pensiero dello scozzese Adam Smith (1723-90), autore della celebre Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1777). A suo giudizio, lo stato deve limitarsi a dettare regole ragionevoli e a farle applicare da tutti; per il resto, i cittadini devono godere della massima libertà economica. In un clima di pace e sicurezza, ognuno cercherà di arricchirsi onestamente con l’attività che preferisce, entrando in concorrenza con gli altri e, poiché tutti saranno stimolati a produrre sempre di più e meglio, questa ricerca dell’interesse privato renderà prospera l’intera collettività. Questi sono i vantaggi del “libero mercato“.
Smith esemplifico la sua teoria in rapporto al commercio di cereali, caro a Quesnay. Secondo lui, bisognava abolire tutti gli strumenti con cui i governi cercavano (per impedire le rivolte del popolo) di abbassare il prezzo del pane: requisizioni, divieto di esportazione, imposizione di prezzi “politici” erano tutti strumenti spuntati e negativi, secondo Smith. Infatti, in un sistema libero, l’interesse dei commercianti di grano è vincere la concorrenza degli altri venditori. Se invece i prezzi del grano crescono, ciò spingerà i proprietari terrieri a trasformarsi in veri imprenditori agricoli, mettendo a coltura nuove terre, investendo denaro per introdurre nuove tecniche ecc. Alla fine di tale processo, diceva Smith, le carestie e le crisi alimentari spariranno. La sua dottrina, definita liberismo economico, ebbe successo e sostenne la successiva evoluzione che porterà alla prima rivoluzione industriale.

Pubblicato da bmliterature

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