Meraviglia, concettismo e metafora nella lirica barocca

La rottura del canone classico e petrarchesco

letteratura-italiana-il-barocco_0f21522965cb88ceb6536d2503e83de9Il Barocco letterario nasce e si definisce come consapevole e volontaria rottura con gli ideali di equilibrio e compostezza stabiliti nel Cinquecento dal canone classicista rinascimentale e, per ciò che riguarda la poesia, dalla lirica di Petrarca.
La crisi delle certezze umanistiche e l’emergere di una sensibilità che guarda al mondo con sempre maggiore meraviglia spingono gli autori a liberarsi dell’insieme delle regole del secolo precedente.
Con l’avvio del secolo la polemica tra difensori della tradizione rinascimentale e innovatori mira a demolire il principio di autorità indiscussa di modelli e precetti, a favore del diritto all’autonomia e alla varietà espressiva.
Se Alessandro Tassoni rivendica al poeta il compito di innovare per adeguare i modelli classici alle affioranti esigenze di maggiore libertà espressiva, Giovan Battista Marino, caposcuola indiscusso della nuova generazione di poeti “novatori”, rifiuta di subordinare il piacere estetico all’utilità pedagogica, e la rottura delle regole diventa così esercizio fondamentale.

Il gusto del pubblico come criterio guida del poeta

Nel giustificare le proprie prese di posizione, Marino porta spesso l’argomento della “svogliatura” del secolo (cioè la stanchezza del gusto causata dalla ripetitività delle convenzioni) che allontana i lettori dai testi tradizionali, spingendoli a prediligere opere più ardite, stuzzicanti, all’insegna della stravaganza, come di fatto si presentavano le opere di Marino. Parlando dell’ossequio alle “regole” in una lettera del 1624, l’autore non si limita a negare che i precetti abbiano validità eterna, ma sottrae ai critici il giudizio sulla validità dell’opera per affidarlo ai lettori.
Marino visse nello sforzo costante di affermarsi in una temperie storica altamente instabile: in qualità di poeta di corte, infatti, il suo ruolo era costantemente in pericolo data la precarietà politica a cui erano soggetti Ducati, Principati e piccoli regni durante il Seicento; ma, soprattutto, la sua posizione e quella degli altri letterati era vincolata all’arbitrio e agli umori dei principi. Marino seppe però distinguersi e guadagnare autorevolezza dando espressione alle istanze di rinnovamento che il nuovo secolo andava maturando.

Il fine della poesia è “Meravigliare”

L’imperativo della cultura della Controriforma è quello di “reagire alla corruzione con severe direttive che, nel codificare dogmi e norme di comportamento estese anche al mondo dell’arte, recano in ogni campo una serietà e un fervore religiosi vittoriosi sull’edonismo…” (Battistini). Dal canto suo, Marino si oppone ai precetti moralizzanti ecclesiastici e nella formula oraziana “utile dulci miscere” (unire l’utile al dilettevole) subordina l’elemento del dovere a quello del piacere. “E’ del poeta il fin la meraviglia … chi non sa far stupir vada alla striglia”.
Le scoperte scientifiche e la repressione morale e religiosa, spingono Marino e gli intellettuali, come lui sostenitori del rinnovamento, a ripensare le forme espressive in senso “moderno”. “Meraviglia“, “ingegno“, “concetto” e metafora diventano, così, gli artifici retorici atti ad esprimere questa nuova sensibilità.
Con la varietà infinita di immagini e oggetti proposti nelle loro opere e le audaci relazioni con cui vengono associati, grazie ad un uso “spericolato” della metafora, gli scrittori stimolano il lettore al ragionamento sottile e acuto, “ingegnoso”, appunto, sollecitandolo alla soluzione di enigmi (i “concetti”) che, svelati, suscitano piacevole sorpresa, meraviglia. Obiettivo del poeta è “far inarcare le ciglia”, immagine eloquente che esprime l’emozione provata nel cogliere, all’improvviso, significati impliciti e sotterranei.

Pubblicato da bmliterature

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