La migrazione ed i senzatetto

Attorno ai primi anni Trenta, aumenta nel mondo il processo di industrializzazione che porta le persone a spostarsi dalle campagne alle città per costruire una vita migliore e con la speranza di un lavoro che segua le tendenze del momento. Di questo movimento risente qualsiasi ambiente antropico: le campagne per la perdita di numerosi nuclei familiari e le città per l’incremento demografico. Ben presto la città si trasforma in metropoli e si trova davanti a problemi prima sconosciuti. Tutte le persone che arrivano nella capitale sono in cerca di fortuna e molto spesso intraprendono il viaggio senza troppe sicurezze e si imbattono in un’avventura non positiva. Non hanno appoggi relazionali né appoggi finanziari e si trovano nella condizione di dover chiedere aiuto ai servizi sociali della città ospitante o a dormire in strada in attesa di trovare lavoro: nascono così i primi centri di assistenza sociale.

A Chicago, città presa in considerazione perché culla di studi inerenti al fenomeno della emarginazione (Hannerz,1980) attorno agli anni Trenta, nasce Hull House, primo centro di assistenza per immigrati. Sempre nello stesso periodo, a Chicago, 1920, nasce la Sociologia come disciplina universitaria e il conseguente Dipartimento di Sociologia. La Scuola di Chicago (Hannerz,1980) comincia ad orientare i propri studi su ricerche svolte nella propria città e sulla teorizzazione a livello globale dei fondamenti della società

umana: prima esperienza di studi di sociologia urbana “L’opinione pubblica lo definisce col termine dispregiativo “barbone” (da birbone, cioè “delinquente” e “malfattore”), che rimanda, per assonanza, alla parola “barba”, richiamando alla mente immagini di scarsa pulizia, scarsa morale e devianza”(Bonadonna). “Molti la etichettano come una persona che non ha voglia o che è incapace di lavorare e di avere relazioni sociali, magari pericolosa, perché alcolizzata, tossica o malata mentale” (Galliani). “Questa immagine stereotipata pesa sul senza dimora, che finisce per identificarsene, ormai sempre più allontanato da una società che lo evita solo perché in realtà “ha timore di potersi trovare un giorno nella stessa situazione deviante” (Valtolina)”.

Queste sono tutte definizioni frutto di un’analisi superficiale; sono descrizioni che vengono imposte alle persone e dipendono strettamente da un desiderio di categorizzare quello che non si conosce e di allontanare il problema da sé.

Le caratteristiche delle persone senza dimora sono: la logica del rientro e la désaffiliation e la rappresentazione teatrale.

-La logica del rientro

É un concetto introdotto da U. Sessa e viene usato per spiegare la metodologia usata dai Servizi Sociali. La persona che riceve aiuto deve avere la capacità di sfruttarlo al meglio e quindi produrre, in un rapporto di scambio, una restituzione sociale. Ogni ente erogatore servizi lavora seguendo questo principio perché instaura un processo di scambio, non sempre esplicito, e invita la persona aiutata a fornire delle risposte concrete, un mutamento nel comportamento e nello stile di vita. Chi ha bisogno di aiuto, non può dare nulla in cambio, chi dà aiuto deve chiedere in cambio e così, l’assistente sociale prima di concedere il contributo deve fare un progetto; la persona deve accettare e solo così vedrà realizzata la sua richiesta. É un processo a circuito chiuso, più la situazione di emarginazione della persona è cronica, più si presenta l’impossibilità di rispondere alle richieste del servizio erogatore di aiuti; quindi, paradossalmente, più la persona è in difficoltà, meno potrà essere aiutata. La logica del rientro allontana tutte le persone che non hanno gli strumenti per rispondere ad un Servizio.

-La désaffiliation

É un concetto che nasce in Francia conseguentemente a studi sul reddito minimo svolti da Castel e letteralmente significa: disconoscimento di paternità rispetto al sistema sociale nel quale si vive. Questa condizione interessa le persone che si distaccano dal mondo dei Servizi Sociali, quelle che hanno perso la fiducia nel sistema e quelle che non vivono l’integrazione sociale. Nonostante sia un fenomeno che interessa la soggettività piuttosto che la posizione sociale, in questa descrizione va inclusa tutta la categoria delle persone senza dimora che, vivendo ai margini e non vivendo l’integrazione sociale, disconosce il sistema del servizio sociale: non sono capaci di riconoscere i loro beni e trasformarli in possibilità di vita. Le persone che vivono una grave condizione di marginalità, attraversano un processo psicologico che inibisce in loro la capacità di accorgersi e discernere tra le varie abilità, quelle più adeguate, per trasformare in meglio il loro stile di vita.

-La vita come rappresentazione teatrale

Ogni uomo, per quanto tale, vive calato in una dimensione fatta di relazioni e di continui scambi con altri essere umani; vive quindi la necessità di rappresentare quello che gli altri si aspettano. Prima di questo passaggio, l’uomo si trova davanti ad un grande problema personale: la concezione di sé e la propria rappresentazione. Come spiegato da Goffman La vita quotidiana come rappresentazione l’uomo deve prima illudere se stesso per potere poi illudere. Tutte le persone hanno bisogno di ingannarsi per sopportare le cose che non riescono a cambiare, gli aspetti del carattere e della propria personalità che detestano: è più semplice e tutti sono portati a farlo, a nascondere piuttosto che affrontare e risolvere.

Le persone senza dimora vivono questa condizione all’inizio del loro percorso di deriva sociale: si presentano agli operatori o, ancor prima, quando ritengono di non aver bisogno di un dormitorio, come tutt’altra persona. Mascherano la loro condizione, raccontano altre cose, non esplicitano le loro difficoltà e sembra che non ne abbiano. Con questo tipo di atteggiamento ingannano oltre che chi si relaziona a loro, anche se stessi: non riescono ad ammettere la loro condizione e si mascherano dietro la loro precedente immagine.

Pubblicato da Clara Cocomazzi

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