Il mondo oltre l’Europa

Gli imperi coloniali nelle Americhe e l’economia di piantagione

Le guardie del tabacco, Francisco Goya, 1779-80; Madrid, Prado.
Le guardie del tabacco, Francisco Goya, 1779-80; Madrid, Prado.

I primi imperi coloniali erano sorti già nel Cinquecento, a opera di Spagna e Portogallo.
La Spagna occupò molti territori in America, partendo dalla zona dei Caraibi, nell’America centrale. S’impossessò prima degli antichi imperi azteco e maya, tra Messico e Guatemala, e dell’arcipelago delle Antille; poi proseguì verso sud, lungo la fascia andina, mettendo le mani sul Perù e occupando l’antico impero inca. Nell’America del Nord gli spagnoli misero piede in Florida (San Augustin fu fondata nel 1565) e un secolo dopo in California: qui le prime missioni spagnole sorsero nel 1687.
Il Portogallo, in America, limitò le sue conquiste al solo Brasile, regione peraltro ricchissima di materie prime. All’inizio l’area venne sfruttata per la produzione di legni pregiati (Amazzonia), ma poi fu scoperta la redditività della canna da zucchero, coltivata in estese piantagioni. Spagnoli e portoghesi nelle Americhe sfruttarono i ricchi giacimenti di metalli preziosi. Ma l’argento estratto dalle miniere spagnole del Potosí (in Perù) e l’oro e i diamanti che, più tardi, i portoghesi ricavarono dalle miniere di Minas Gerais, non trasformarono Spagna e Portogallo in paesi ricchi, perché non alimentarono investimenti produttivi, ma solo consumi voluttuari.
Oltre alle miniere, grande ricchezza derivò dalle piantagioni. Spagnoli e portoghesi impiantarono nelle terre americane prospere colture di canna da zucchero, caffè e cotone (tutti prodotti provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente) ma anche di prodotti indigeni, come il cacao e il tabacco. Queste piante potevano essere coltivate solo nelle zone tropicali o subtropicali, mediante, per l’appunto, il sistema della piantagione: aziende agricole di enormi dimensioni, in monocoltura (coltivazione di un solo prodotto), i cui frutti erano destinati ai mercati dei consumatori europei.

Dall’Africa all’America: la tratta degli schiavi

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Il commercio triangolare con la tratta degli schiavi

All’inizio gli encomenderos (coloro che avevano ricevuto il diritto di sfruttamento delle terre) spagnoli e i fazenderos (proprietari di piantagione) portoghesi utilizzarono, nelle loro piantagioni, il lavoro degli indios locali, ridotti, di fatto, in schiavitù. Ben presto, però, la forza lavoro indigena si esaurì, falcidiata dalle epidemie, dalla fatica, dalla malnutrizione.
A quel punto (siamo tra Cinque e Seicento) spagnoli e portoghesi ebbero bisogno di un massiccio afflusso di altra forza lavoro. Per rifornirli, dietro lauti pagamenti, fu organizzata la cosiddetta “tratta degli schiavi“, uno dei più giganteschi fenomeni di migrazione forzata di tutta la storia umana.
Mercanti negrieri e compagnie commerciali, specializzati in questi traffici, acquistavano sulla costa del Golfo di Guinea schiavi africani dai mercanti arabi o dalle tribù locali, e li trasportavano verso le Americhe. Nel corso del drammatico viaggio sulle navi negriere molti africani morivano per gli stenti e le malattie. Quelli che sopravvivevano venivano venduti, con enormi profitti, e messi a lavorare in condizioni spaventose nelle piantagioni spagnole e portoghesi.
Sbarcato il loro carico umano, le navi negriere ripartivano poi dal “Nuovo mondo” americano alla volta dell’Europa, trasportando, questa volta, merci non meno pregiate: melassa (prodotta dalla canna da zucchero), caffè, tabacco, rum. Venduto il carico, imbarcavano i materiali poveri (vetri, stoffe, liquori ecc.) con cui pagare gli schiavi dai capitribù africani e riprendevano di nuovo il largo verso l’Africa. Era il sistema detto del commercio triangolare.
In tutto furono oltre 11 milioni gli uomini prelevati dall’Africa: ne giunsero vivi, al di là dell’oceano, circa 9,5 milioni.

Gli inglesi nel Nordamerica

pranzo-ringraziamento-tra-nativi-e-colonizzatoriL’America settentrionale, di fatto, non era stata colonizzata dagli spagnoli, apparentemente poco interessati allo sfruttamento delle sue risorse. Il territorio risultava più facilmente raggiungibile dalle rotte provenienti dal Nord Europa: attirò quindi l’attenzione dell’Inghilterra già sotto il regno di Elisabetta I (1558-1603).
La prima spedizione coloniale inglese fu guidata dal navigatore Walter Raleigh (1552-1628), che sbarcò all’isola di Roanoke (nel North Carolina) e battezzò il luogo Virginia in onore di Elisabetta I, la “regina vergine”.
All’inizio del Seicento cominciò la colonizzazione inglese della costa atlantica del Nord America. Nel 1607 un gruppo di coloni fondò in Virginia la città di Jamestown (in onore di re Giacomo I), primo insediamento stabile inglese del Nuovo mondo. Qui vennero ben presto impiantate piantagioni di tabacco e cotone.
Molto più a nord, a Cape Cod, in Massachusetts, sbarcò nel 1620 un gruppo di puritani, cioè calvinisti, all’epoca perseguitati dai re inglesi. Un loro gruppo aveva ottenuto dalla Compagnia di Londra una concessione di terra sulla costa atlantica; partiti in 105 da Plymouth, in Inghilterra, sulla nave Mayflower, noleggiata per l’occasione, sbarcarono l’11 novembre 1620. Nel luogo dell’approdo fondarono New Plymouth, primo nucleo della colonia del Massachusetts.
La tradizione li ricorda come i Pilgrim fathers, “Padri pellegrini”. Malgrado il nome, non erano religiosi o monaci, ma un gruppo di privati cittadini, mossi però da spirito sinceramente religioso.
I coloni incontrarono molte difficoltà; nel primo anno ben 40 di loro morirono per gli stenti. Alle loro spalle, nell’immediato entroterra, era insediato circa un milione di indiani, chiamati anche pellerossa per l’abitudine di tingersi di terra rossa; divisi in numerose tribù guerriere, essi vivevano di caccia e di pesca. La colonia comunque sopravvisse. Nell’autunno 1621 essa ringraziò Dio per quel primo anno nel Nuovo mondo: nacque allora, secondo la tradizione, la festa del Ringraziamento (Thanksgiving day).
Il colonialismo britannico fu molto diverso da quello, di puro sfruttamento, messo in atto da spagnoli e portoghesi. Molti cittadini inglesi si decisero a trasferirsi nelle colonie per fare fortuna mediante il proprio lavoro. Furono agevolati dalla madrepatria, perché quest’ultima si riservò il privilegio di commerciare con loro in esclusiva.
Il progetto si rivelò vincente, perché nelle colonie inglesi si sviluppò una fiorente vita economica e civile.
Alla fine del Seicento, circa 300 mila inglesi risultavano stanziati nelle colonie della costa nordamericana.
A quell’epoca si contavano, nell’America settentrionale, anche 70 mila francesi. Erano insediati più a nord, nell’immenso Canada, e a ovest, nella Louisiana. Qui il francese Robert de La Salle era giunto nel 1682, prendendo possesso dell’intera valle del Mississippi in nome di re Luigi XIV (da cui il nome Louisiana). Fu soprattutto la revoca dell’Editto di Nantes (1685) a spingere negli anni successivi molti ugonotti francesi verso la Louisiana.

Pubblicato da bmliterature

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