S’i’ fosse fuoco, ardereï ‘l mondo – Cecco Angiolieri

Cecco AngiolieriS’i’ fosse fuoco, ardereï ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;

s’i’ fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s’i’ fosse ‘mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei a mi’ padre;
s’i’ fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.

(Cecco Angiolieri)

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PARAFRASI:
Se io fossi il fuoco, brucerei il mondo; se io fossi il vento lo sconvolgerei con tempeste; se io fossi acqua, io lo annegherei; se io fossi Dio, lo farei sprofondare;
Se io fossi il papa, allora sarei felice, perché metterei nei guai tutti i cristiani; se io fossi l’imperatore, lo farei bene: taglierei la testa a tutti quelli che mi stanno intorno (o di netto).
Se io fossi la morte, andrei da mio padre; se io fossi la vita, non starei con lui: allo stesso modo farei nei confronti di mia madre. Se io fossi Cecco, come io sono e fui, prenderei le donne giovani e belle; le zoppe e le vecchie le lascerei ad altri.

ANALISI DEL TESTO:
E’ forse il più noto sonetto del poeta che inveisce contro “tutti e tutto”.
Un intellettuale “contro” la famiglia, la società, la religione, l’intera comunità: così tutta una tradizione critica dell’Ottocento ed anche del Novecento ha letto la produzione di Cecco Angiolieri ed in particolare il sonetto antologizzato. In realtà questa è un’interpretazione anacronistica, che utilizza i propri schemi interpretativi moderni per accostarsi ad un poeta vissuto in un contesto culturale diverso e con una diversa concezione della letteratura.
Cecco, infatti, opera all’interno di una precisa convenzione letteraria, quella comica e burlesca, che discende dalla tradizione goliardica medievale, che ama le figure irregolari, gli atteggiamenti dissacratori ed irriverenti verso ciò che è nobile e degno, l’esaltazione dei piaceri materiali.  Proprio l’accentuazione truculenta ed iperbolica delle affermazioni, presenti nel sonetto, rivela il loro carattere di posa e di gioco. La conferma è data anche dallo smorzarsi dei toni nella terzina finale: il sonetto si chiude con una sorta di bonaria strizzatina d’occhi, con la sostituzione, all’atteggiamento irosamente distruttivo, di una più spicciola filosofia di vita, ispirata al principio del godimento immediato e libero da freni e impedimenti.
Le elaborate soluzioni formali usate dal poeta (ad esempio, l’uso ripetuto dell’anafora, il condizionale in chiusura di verso) tradiscono la raffinata educazione letteraria di cui Cecco si serve per raggiungere effetti parodistici. Al pubblico borghese comunale, di cui fa parte, l’intellettuale Cecco consegna un prodotto letterario in grado di farlo divertire ridendo dei propri vizi.

Pubblicato da bmliterature

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