La vita di Giovanni Boccaccio

Boccaccio-Ritratto-1568LA FORMAZIONE NEGLI ANNI NAPOLETANI
Giovanni Boccaccio nacque nel 1313, probabilmente a Firenze (o forse a Certaldo, borgo da cui la famiglia paterna era originaria), figlio illegittimo del mercante Boccaccino di Chellino. Legittimato e accolto in casa dal padre, fu avviato ai primi studi a Firenze. Nel 1327 Boccaccino si recò a Napoli in qualità di socio della potente banca fiorentina dei Bardi, che finanziava la corte angioina e ne amministrava gli affari, e, poiché intendeva indirizzare il figlio alla sua stessa professione, lo portò con sé per fargli fare pratica mercantile. A Napoli Boccaccio rimase poi sino all’inverno 1340-41. Questo soggiorno ebbe un’importanza determinante nella sua formazione. Innanzitutto, nella sua pratica al banco veniva quotidianamente a contatto con una varietà di persone, mercanti, gente di mare, avventurieri, che confluivano nella grande città, uno dei più importanti centri politici ed economici del Mediterraneo; poté così maturare quello spirito di osservazione, quella conoscenza dei caratteri, dei costumi, dei più vari strati sociali, in una parola quella concreta e multiforme esperienza della realtà che sarà alla base della sua arte di narratore e che trasfonderà nelle novelle del Decameron. Al tempo stesso, quale figlio di un socio della potente banca dei Bardi, da cui dipendeva tutta l’economia della corte angioina, poteva partecipare alla vita raffinata e gaudente dell’aristocrazia e della ricca borghesia napoletana. Sin dagli anni giovanili si delineano così le due fondamentali direttrici lungo cui si muoverà tutta l’esperienza letteraria boccacciana: quella “borghese”, attenta alla realtà concreta della vita sociale ed economica, e quella “cortese”, nostalgicamente protesa verso un mondo splendido di costumi signorili e di magnanimi comportamenti.
1758661-featIn questi anni napoletani si afferma in Boccaccio anche la vocazione letteraria, destinata a trionfare ben presto sulle speranze del padre, che lo voleva mercante e banchiere, o almeno avviato alla lucrosa professione di esperto di diritto canonico. Alla letteratura Boccaccio si accosta con l’avidità che è propria dell’autodidatta. In primo luogo subisce il fascino della tradizione cortese, dei versi d’amore e dei romanzi cavallereschi, che erano molto letti ed amati negli ambienti aristocratici da lui frequentati. Ma, sotto lo stimolo di alcuni dotti personaggi della corte angioina, che era un centro molto vivo di cultura, comincia ad affermarsi in lui anche la devozione per i classici latini.
Accanto ai classici antichi, Boccaccio ammira anche i classici nuovi, quelli della recente letteratura volgare: i poeti stilnovisti, ma soprattutto Dante e Petrarca, il giovane letterato che, con la sua fama e la sua dottrina, già domina la cultura contemporanea. È una formazione, come si vede, eterogenea e composita; ma da questa avidità di esperienze culturali scaturirà poi quella tendenza inesauribile a sperimentare generi e forme, che caratterizzerà l’opera boccacciana. Di queste esperienze di vita e di cultura si sostanziano le prime prove, le Rime, i romanzi e i poemi in volgare, Filocolo, Filostrato, Teseida.

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IL RITORNO A FIRENZEBoccaccio
Ma questa esistenza serena, fatta di svaghi aristocratici, amore e poesia, è troncata di colpo nel 1340: a causa della crisi della banca dei Bardi, Boccaccio è costretto a tornare a Firenze. Alla festosa vita cortese napoletana subentra il grigiore opprimente di a di una una vita borghese, segnata dalle ristrettezze economiche. Allo scrittore si presenta anche il problema di una sistemazione: si reca presso vari signori, in cerca di appoggio; coltiva per anni la speranza di una definitiva sistemazione presso la corte napoletana, a cui lo legano le memorie, giovanili, ma queste speranze vengono sempre sistematicamente deluse. La sua città comunque lo ama come personaggio illustre e si vale di lui in numerose missioni e ambascerie. Nel 1348 vive l’esperienza della peste, che dopo aver colpito tutta l’Europa arriva a flagellare anche Firenze, e ne trae spunto per la cornice narrativa in cui inserirà le cento novelle del suo capolavoro, il Decameron.

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Negli ultimi anni un’importante evoluzione spirituale si verifica in Boccaccio. È determinante per lui l’amicizia con Petrarca, che si sviluppa in vari incontri diretti, ma anche attraverso un fitto scambio di lettere, libri, informazioni letterarie. Sotto l’influenza di Petrarca, che egli considera suo maestro, Boccaccio è spinto a concepire una devozione entusiastica per i classici, ma anche una concezione più austera del valore morale delle lettere. Abbandona l’idea di una letteratura intesa essenzialmente al diletto, rivolta ad un pubblico non letterato, e coltiva un tipo di letteratura più solenne e moralmente impegnata. Toccato personalmente da un travaglio religioso, come l’amico Petrarca sceglie la condizione di “chierico”: nel 1360 il papa lo autorizza ad avere cura d’anime.
Questa crisi spirituale si inquadra anche in un periodo di delusione politica: nel 1360 il fallimento di una congiura, in cui erano implicati amici di Boccaccio, mette in cattiva luce lo scrittore stesso, che viene allontanato da ogni incarico pubblico. Nel 1362 si ritira allora a Certaldo, dove conduce una vita appartata, dedita allo studio, alla meditazione e alla stesura di opere erudite. Dal 1365 torna di nuovo ad ottenere incarichi pubblici. La sua casa diviene il centro d’incontro di un gruppo di intellettuali, che sono il primo nucleo del futuro Umanesimo fiorentino: tra di essi il cancelliere della Repubblica, Coluccio Salutati. Il culto umanistico dei classici latini non esclude però in Boccaccio il culto dei classici nuovi, sorretto da una ferma fiducia nella lingua volgare. La sua ultima fatica è un commento alla Commedia, che egli, su incarico del Comune, tiene nella chiesa di Santo Stefano di Badia tra il ’73 e il ’74. La morte lo coglie il 21 dicembre 1375.

Pubblicato da bmliterature

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