Carlo V e Francesco I – L’impero e la Francia

Allegoria di Carlo V dominatore del mondo. Pieter Paul Rubens, 1607; Salisburgo, Residenz Galerie.

Carlo V erede di un regno immenso
Il panorama europeo del primo Cinquecento viene sconvolto con l’affermarsi sulla scena politica di Carlo V. Nato a Gand, nelle Fiandre, nel 1500, Carlo era figlio di Filippo d’Asburgo detto “il Bello” (il padre di Filippo, Massimiliano I d’Asburgo, era imperatore) e di Giovanna la Pazza regina di Spagna (Giovanna era figlia di Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia).
Grazie a un’abile politica matrimoniale, gli Asburgo (Antica casa nobiliare originaria della Germania meridionale, poi insediata in Austria con il titolo di duchi. Gli Asburgo si impossessarono del titolo imperiale, a varie riprese, già sul finire del XIII secolo. In seguito, grazie a matrimoni con altre famiglie regnanti, s’impadronirono via via dei Paesi Bassi, della Spagna, dell’Ungheria. La famiglia si divise successivamente in due rami: gli Asburgo di Spagna (estinti nel 1700 con il re Carlo II, che morì senza eredi) e gli Asburgo d’Austria; gli Asburgo persero il titolo imperiale e il regno nel 1918, al termine della Prima guerra mondiale.) potevano rivendicare diversi gradi di parentela con molte famiglie regnanti: tutta questa complessa rete di rapporti fu riunita nella persona di Carlo V. Alla morte del padre, nel 1508, Carlo, ancora bambino, aveva già ereditato i titoli di duca di Borgogna, signore dei Paesi Bassi, signore del Lussemburgo e della Franca Contea (una regione francese al confine con la Svizzera).
Dieci anni dopo, nel 1516, alla morte del nonno materno Ferdinando d’Aragona (che era stato reggente a causa dell’inabilità della regina Giovanna), Carlo riunì nella sua persona le corone spagnole, quella di Aragona e quella di Castiglia. La prima gli dava signoria anche sul regno di Napoli, sulla Sicilia e la Sardegna, la seconda gli assicurava i possedimenti spagnoli in America, ovvero le isole Antille e gli ex imperi azteco (in Messico) e inca (in Perù).
Mancava però al giovane Carlo la corona imperiale, che avrebbe esteso ulteriormente i suoi territori e, quindi, il suo potere.

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Re di Spagna e imperatore
Dopo la morte del nonno, nel 1517, il giovanissimo Carlo compì il primo viaggio da sovrano in Spagna, uno dei più importanti territori del suo dominio. Carlo era stato educato nelle Fiandre, aveva sempre risieduto nei Paesi Bassi, parlava fiammingo e francese, mentre non conosceva lo spagnolo. In quel viaggio era accompagnato dai suoi consiglieri dei Paesi Bassi e dai banchieri di Anversa, coi quali intratteneva importanti rapporti finanziari e commerciali.
Il viaggio fu per lui impegnativo: le Cortes (Assemblee rappresentative dei regni iberici, simili al Parlamento inglese. Nel Medioevo vi sedevano solo i rappresentanti del clero e dei nobili; poi, già nel secolo XII, si allargarono anche ai rappresentanti delle città. Non decidevano le leggi, ma avevano il potere di votare e quindi d’imporre le tasse. Dovevano di volta in volta affrontare complesse richieste di esenzioni fiscali, rimostranze ecc.) spagnole lo accolsero con diffidenza, sia perché sentivano l’estraneità del sovrano, sia perché temevano di perdere i privilegi fiscali loro concessi.
Per non inimicarsi le Cortes, il giovane re si mostrò umile, promettendo di non nominare vescovi stranieri, di lasciare invariate le tasse e di non introdurre a corte altre lingue, diverse dallo spagnolo.
Alla morte del nonno paterno, cioè l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, nel 1519, Carlo ereditò il possesso, almeno nominale, del Ducato di Borgogna, che rimaneva però alla Francia, la quale l’aveva ottenuto alla morte di Carlo il Temerario. Inoltre, insieme al fratello Ferdinando, ereditò il Ducato d’Austria. Si era intanto aperta la corsa alla nuova corona imperiale che era rimasta vacante.
L’elezione di Carlo non era scontata, anche perché Carlo non era tedesco di nascita, ma fiammingo: i sette grandi elettori dell’Impero avrebbero potuto rifiutare la sua candidatura e preferirgli quella di Federico il Savio, principe elettore di Sassonia. Papa Leone X, temendo il potere che Carlo avrebbe accumulato nelle proprie mani in caso di elezione, sosteneva appunto la candidatura di Federico di Sassonia.
L’elezione di Carlo fu decisa dalle pressioni dei ricchi e potenti banchieri di Anversa: essi anticiparono una somma ingente di fiorini, una sorta di tangente che affluì nelle casse dei principi elettori. Il 28 giugno 1519 Carlo fu eletto all’unanimità imperatore del Sacro romano impero con il nome di Carlo V.

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Momento dell’incoronazione imperiale di Carlo V a Bologna

La Spagna inquieta
Intanto, in Spagna, la situazione non era tranquilla. Carlo aveva assegnato la reggenza al fiammingo Adriano di Utrecht (suo precettore e futuro papa Adriano VI), ma le Cortes avevano interpretato tale scelta come una violazione delle promesse fatte, a suo tempo, dal sovrano.
Nel 1520 i comuneros (così si chiamavano gli abitanti dei comuni, cioè le città castigliane) si ribellarono contro la corona, guidati dal ceto medio. La loro protesta coinvolgeva più aspetti: i comuneros intendevano difendere i propri privilegi fiscali rispetto all’Impero, mantenere le autonomie cittadine e proteggere l’economia locale contro lo sfruttamento dei nobili. La rivolta si caricò anche d’intolleranza religiosa: soprattutto a Valencia fu data la caccia a ebrei e musulmani.
La rivolta dei comuneros fu stroncata nel 1521 dall’esercito imperiale, rafforzato dalle milizie nobiliari. Nel 1522 Carlo V decise, come prova di buona volontà, di trasferire la propria corte a Valladolid, ma fu presto costretto a lasciare la Spagna perché stavano infatti iniziando per lui le lunghe guerre, che lo avrebbero opposto sia alla Francia, sia ai principi tedeschi allineatisi alla Riforma luterana.

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Carlo V d’Asburgo

La guerra tra Francia e Impero
Nonostante l’enormità dei suoi possedimenti, Carlo V intendeva raggiungere altri due obiettivi: rientrare in possesso della Borgogna, in area francese (che egli rivendicava dal 1515 in quanto erede della dinastia di Carlo il Temerario), e ottenere il Ducato di Milano, che era tornato in mani francesi con la pace di Noyon nel 1516.
I due territori avevano grande valore strategico, perché spezzavano l’Impero asburgico in due porzioni separate fra loro. Se ne fosse entrato in possesso, Carlo V avrebbe potuto collegare in continuità tutti i domini europei della corona imperiale, rendendo così meno tortuosa la cosiddetta “via asburgica”.
Il sovrano francese Francesco I comprese la minaccia. Essa era aggravata dal fatto che Carlo V aveva stretto alleanza con una tradizionale nemica della Francia, ovvero l’Inghilterra di Enrico VIII Tudor: nel 1510, questi aveva sposato Caterina d’Aragona, zia di Carlo V. L’accerchiamento parve completarsi quando, nel 1522, fu eletto il nuovo papa Adriano VI, precettore e amico di Carlo V.
Le ostilità tra imperiali e francesi iniziarono nel 1521, in diversi punti d’Europa; ma il principale campo di battaglia della nuova guerra tra Spagna e Francia ritornò a essere la debole Italia degli stati regionali. Milano fu conquistata nel 1522 dagli spagnoli, che ne restituirono il possesso alla signoria amica degli Sforza. Anche Genova fu saccheggiata.
La guerra proseguì fino al febbraio 1525, quando a Pavia l’esercito imperiale, rafforzato dagli archibugieri spagnoli, sconfisse duramente la leggendaria cavalleria francese: lo stesso Francesco I, che partecipava alla battaglia, fu fatto prigioniero e condotto a Madrid, dove dovette firmare la pace di Madrid (1526), con cui la Francia rinunciava a tutti i territori contesi, riconoscendo alla Spagna, cioè all’Impero, il possesso di Napoli, la signoria su Milano e Genova, oltre all’atteso Ducato di Borgogna.
Firmata la pace Francesco I poté ritornare in Francia, ma qui si affrettò a sconfessare il trattato e riprese la lotta imperiale.

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Un lanzichenecco mercenario al sevizio di Carlo V, XVI secolo.

La Lega di Cognac e il sacco di Roma
La vittoria schiacciante di Carlo V sulla Francia cominciò a preoccupare il nuovo papa Clemente VII (1523-34), appartenente, come Leone X, alla famiglia fiorentina dei Medici. Egli temeva che l’imperatore Carlo V intendesse unificare l’Italia sotto la sua corona, minacciando così l’esistenza stessa dello Stato pontificio. Clemente VII, pertanto, si decise per costituire un’alleanza antispagnola (la lega di Cognac), a cui aderirono la Francia e gli altri stati italiani (Milano, Venezia, Firenze, Genova).
Carlo V ritenne ingiurioso questo passo del pontefice, per due motivi. In primo luogo l’imperatore, come sovrano cattolico, non aveva mai avanzato pretese sul territorio dello Stato della Chiesa. Inoltre proprio in quella fase l’Europa era percorsa dai fermenti religiosi della Riforma luterana e Carlo si stava adoperando per convocare un Concilio con cui scongiurare la frattura religiosa e difendere la Chiesa.
Nel 1527 Carlo V inviò dunque in Italia, contro le truppe della Lega di Cognac, un esercito di circa 18 mila mercenari, metà dei quali erano i temibili lanzichenecchi (Dal tedesco “Landsknecht”, letteralmente “servitori del paese” oppure “della terra”. Venivano così chiamati i mercenari di fanteria, che vennero reclutati nelle regioni del sud della Germania e in Tirolo dall’imperatore Massimiliano I, nel 1493, per contrastare i temuti soldati svizzeri, loro feroci nemici, coi quali condividevano la migliore preparazione bellica di tutta Europa. I lanzichenecchi combattevano armati di picche lunghe 3 o 4 metri oppure con alabarde o archibugi.) tedeschi. Un evento imprevedibile fece precipitare la situazione: le casse imperiali rimasero vuote, lasciando i mercenari senza paga; essi dunque, per recuperare il mancato guadagno, decisero di mettere a ferro e fuoco Roma. Superate facilmente le deboli difese della Lega, e dopo un breve assedio, i lanzichenecchi entrarono in città. Lasciati senza controllo, si abbandonarono per diversi mesi a violenze e saccheggi, senza risparmiare i luoghi sacri.
A spiegare tanto accanimento vi è anche l’odio religioso, perché i lanzichenecchi erano quasi tutti luterani. Lo stesso papa sfuggì a malapena alla cattura, rifugiandosi a Castel Sant’Angelo. Alla fine si contarono circa 20 mila vittime civili, oltre alla distruzione di case e chiese. Ancor più grave, forse, fu il bilancio dal punto di vista culturale: il sacco di Roma non solo confermava la debolezza politica della penisola, ma sembrava porre drammaticamente fine allo splendore e alla spensieratezza del Rinascimento italiano.

Si chiude la prima fase del conflitto
L’eco dei gravissimi fatti di Roma spinse il popolo di Firenze all’insurrezione: i Medici furono nuovamente cacciati e venne restaurata la repubblica (1527).
A Genova, invece, fu deposto il doge filo-spagnolo in carica; l’ammiraglio genovese Andrea Doria, alleato di Francesco I, occupò la città (1527), mettendo a disposizione della Francia navi e capitali. L’anno seguente, però, Andrea Doria passò dalla parte spagnola.
I costi della lunga guerra, in termini economici e anche di perdite umane, erano molto elevati e i contendenti si accordarono prima per una tregua e poi per la firma di una nuova pace. Essa fu sancita a Cambrai (estate del 1529): la Francia rinunciava a tutti i territori in Italia, incluso il Ducato di Milano, ma conservava la Borgogna e l’Artois (oggi Belgio occidentale).
Nel 1530 papa Clemente VII consegnò la corona imperiale a Carlo. In cambio, chiese il ritorno della signoria dei Medici (di cui il pontefice ne faceva parte) a Firenze, impegno che le truppe imperiali mantennero nello stesso 1530.

Pubblicato da bmliterature

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