Italo Svevo – Biografia ed opere

LA DECLASSAZIONE E IL LAVORO IMPEGATIZIO
Svevo
Italo Svevo (nome originario Hector Schmitz) nacque nel 1861 a Trieste (città irredenta), allora territorio dell’Impero asburgico, da un’agiata famiglia borghese. Il padre e la madre erano di famiglia ebraica. Gli studi del ragazzo erano indirizzati verso la carriera commerciale come quella del padre e venne mandato in un collegio in Germania. In quel periodo si appassionò alle letture di scrittori tedeschi dimostrando il suo fondamentale interesse letterario.
A diciassette anni, ritornò a Trieste e collaborò al giornale triestino “L’Indipendente”, di orientamento liberale e irredentista. Politicamente era vicino alle posizioni irredentistiche, come gran parte della borghesia triestina, e manifestava anche interesse per il socialismo.
Nel 1880, dopo un investimento industriale sbagliato, il padre fallì e Svevo poté conoscere l’esperienza della declassazione, passando dall’agiata borghesia ad una condizione di ristrettezza. Fu così costretto a cercar lavoro e si impiegò presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna. Il lavoro impiegatizio era per lui arido ed opprimente per cui cercava un’evasione nella letteratura leggendo i classici italiani e i grandi narratori francesi dell’Ottocento. Frattanto si dedicò alle prime prove narrative, scrivendo alcune novelle e progettando il suo primo romanzo, Una vita che non ebbe grande successo.

IL SALTO DI CLASSE SOCIALE E L’ABBANDONO DELLA LETTERATURA
Nel 1895, Italo Svevo incontrò una cugina, Livia Veneziani, con la quale si fidanzò. Le nozze furono poi celebrate nel 1896 e l’anno successivo nacque la figlia Letizia. Il matrimonio segno una svolta, innanzitutto sul piano sociologico, l’”inetto”, colui che non sa vivere, poteva arrivare a coincidere con quella figura virile che era apparsa irraggiungibile, il padre di famiglia. Ma mutava anche radicalmente la condizione sociale dello scrittore. I Veneziani erano dei conosciuti industriali, proprietari di una fabbrica di vernici molto rinomata. Così Svevo abbandonò l’impiego alla banca ed entrò nella ditta dei suoceri.
Fu un salto di classe sociale che gli permise di proiettarsi nel mondo dell’alta borghesia; ma soprattutto da intellettuale si trasformò in dirigente d’industria. I suoi orizzonti si allargarono a dimensioni internazionali perché grazie a questo lavoro compì numerosi viaggi in Francia e Inghilterra. Venne così a contatto con un mondo tutto diverso da quello esclusivamente intellettuale in cui era vissuto sino allora: un solido mondo borghese, in cui ciò che contava erano gli affari e il profitto.
Divenuto anch’egli uomo d’affari e dirigente industriale, abbandonò l’attività letteraria, guardandola come cosa ridicola e dannosa che poteva disturbare o compromettere la sua nuova vita attiva e produttiva.

IL PERMANERE DEGLI INTERESSI CULTURALI
In realtà Svevo non abbandonò completamente l’attività letteraria. Gli interessi culturali e letterari non si erano spenti dopo essere diventato dirigente industriale.
Negli anni tra l’ingresso nell’attività industriale e lo scoppio della Prima guerra mondiale ci furono due occasioni importanti per la formazione intellettuale di Svevo. Il primo fu l’incontro con James Joyce, da cui Svevo prese lezioni di inglese. Tra il giovane scrittore irlandese e Svevo nacque una stretta amicizia con diversi scambi di opere letterarie che incoraggiarono Svevo a proseguire l’attività letteraria. L’altro evento fu l’incontro con la psicoanalisi che avvenne verso il 1910, quando il cognato venne in contatto con Freud, che fu il tramite attraverso cui Svevo venne a conoscenza delle teorie psicoanalitiche.

LA RIPRESA DELLA SCRITTURA
L’occasione per riprendere l’attività letteraria fu offerta dalla guerra dato che la fabbrica di vernici venne requisita per ordine delle autorità austriache. Nel 1919 scrisse quindi il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, anch’essa di scarso successo. Per questo motivo Svevo mandò il romanzo a Parigi dove l’amico Joyce s’impegnò per pubblicizzarlo agli intellettuali francesi. Così lo scrittore triestino conquistò larga fama in Francia e su scala Europea.
Solo in Italia ci fu aria di diffidenza. L’unica eccezione fu costituita dal giovane poeta, Eugenio Montale, che gli dedicò un ampio saggio sulla rivista “L’esame”, riconoscendo la sua grandezza.
Negli anni successivi progetto un quarto romanzo, sempre con protagonista Zeno, di cui scrisse ampi frammenti. Inoltre Svevo stese una serie di racconti e alcuni testi teatrali. Il 13 settembre del 1928, in seguito alle ferite riportate da un incidente d’auto, morì.

LA FISIONOMIA INTELLETTUALE DI SVEVO
La fisionomia di Svevo è diversa da quella dei tradizionali letterari italiani. Innanzitutto presenta caratteristiche peculiari l’ambiente in cui egli si forma. Trieste è una città irredenta di confine, in cui convergono tre civiltà, quella italiana, quella tedesca e quella slava. Lo scrittore stesso adotta lo pseudonimo di Italo Svevo per sottolineare in lui la presenza della cultura italiana e di quella tedesca.
Non va inoltre trascurato il fatto che le origini ebraiche contribuiscono a formarlo culturalmente (è stato anche affermato che nella figura dell’”inetto”, centrale nella sua opera, si proietta la condizione dell’ebreo nella civiltà europea). L’ambiente in cui si forma ed opera permette quindi a Svevo di assumere una prospettiva più ampia di quella di tanti scrittori italiani del tempo, ma soprattutto gli consente uno stretto rapporto con la cultura mitteleuropea (Europa centrale).

Pubblicato da bmliterature

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