L’Illuminismo in Italia

I caratteri distintivi dell’illuminismo italiano

Antonio Perego, L'Accademia dei Pugni, 1766, olio su tela, part., Milano, collezione privata.
Antonio Perego, L’Accademia dei Pugni, 1766, olio su tela, part., Milano, collezione privata.

Se l’Illuminismo francese prende le mosse dall’esempio inglese, quello italiano si sviluppa certamente sotto lo stimolo della combattività degli intellettuali francesi. Nonostante questo, l’Illuminismo italiano si caratterizza in base ai contesti culturali dei singoli Stati, raggiungendo esiti originali e rilevanti sul piano culturale più che su quello politico e sociale. Ciò si spiega essenzialmente con la debolezza obiettiva di una borghesia imprenditoriale numericamente esigua e pertanto incapace di sostituirsi ai centri del potere tradizionale.
Le principali città in cui la cultura illuministica italiana ebbe modo di fiorire furono Napoli e Milano. A Napoli le nuove tendenze culturali trassero impulso dalla politica di riforme inaugurata dalla dinastia dei Borboni. Gli intellettuali illuministi appoggiavano le iniziative giurisdizionaliste dei sovrani, intese a rivendicare i diritti dello Stato contro i privilegi della Chiesa. Tra questi figurano insigni studiosi come Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani e Gaetano Filangieri.
A Milano il dominio austriaco favorì il sorgere di un movimento illuministico che condusse, in accordo con i ceti borghesi, un’opera di svecchiamento delle strutture feudali, di riorganizzazione dell’apparato amministrativo, di incremento delle attività industriali e commerciali. Intellettuali come Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria guardavano con favore al riformismo asburgico e collaboravano con il governo.
Se l’Illuminismo napoletano si formò in ambito accademico-universitario, quello lombardo si preoccupò, invece, di divulgare le nuove idee presso un pubblico di non letterati mediante lo strumento giornalistico “Il Caffè“. Il programma culturale degli illuministi milanesi puntava su una letteratura fatta di argomenti attuali, civilmente impegnata. Il gruppo mostrava posizioni polemiche nei confronti della cultura accademica e propugnava l’uso di un linguaggio immediato, adatto a esprimere con maggior chiarezza le nuove idee.

L’Accademia dei Pugni e “Il Caffè

Nella Milano austriacavoltaire-con-federico-ii-di-prussia si realizza un felice confronto tra intellettuali e governo. Il gruppo di letterati che animano la vita culturale della capitale lombarda gravita inizialmente intorno all’Accademia dei Pugni, poi alla rivista “Il Caffè” fondata da Pietro e Alessandro Verri. Con il contributo del filosofo e letterato Cesare Beccaria, il periodico divenne il principale strumento di diffusione del pensiero illuministico italiano. Pur provenendo dall’aristocrazia, i suoi fondatori si fecero portavoce delle istanze culturali, sociali e politiche delle classi emergenti nella direzione di una razionalizzazione dell’apparato statale e di uno svecchiamento delle istituzioni. Emblematici in questo senso sono gli scritti che portano avanti la necessità di garantire la dignità dei cittadini e dell’organismo statale attraverso l’abolizione della tortura e della pena di morte.
“Il Caffè”, diventa la cassa di risonanza delle posizioni più avanzate della nuova cultura, promuovendo un’apertura cosmopolita e spaziando in ogni campo della conoscenza umana.

La polemica antipuristica

Sul piano stilistico, gli intellettuali illuministi si battono per rendere più leggero il linguaggio dalla pedante erudizione accademica a favore di un registro linguistico che favorisca una ricezione più immediata da parte di un pubblico socialmente diversificato e variegato. Particolarmente accesa è la polemica contro il purismo dei cruscanti, mossa da Alessandro Verri dalle pagine del “Caffè”, e da Melchiorre Cesarotti, autore di un Saggio sulla filosofia delle lingue. In esso il letterato sostiene l’importanza di disporre di una lingua che consenta a chi scrive di trasmettere con chiarezza al proprio pubblico le conquiste della scienza e della ragione. Per Cesarotti è necessario un lessico e una sintassi aperti alle esigenze d’uso della lingua. Il ricorso all’italiano (che progressivamente soppianta il latino negli scritti filosofici e scientifici) rappresenta la spia più significativa di questo tentativo di accorciare le distanze tra la lingua scritta e quella corrente, cioè, parlata.

Pubblicato da bmliterature

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