L’intervento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale

LA SCELTA NEUTRALE DELL’ITALIA
L’Italia faceva parte della Triplice alleanza insieme alla Germania e Austria-Ungheria in seguito all’accordo che Depretis aveva stipulato con gli Imperi centrali perché la politica coloniale francese in Nord Africa rappresentava un ostacolo per gli interessi italiani nel Mediterraneo.
Crispi, il successore di Depretis, aveva riconfermato la Triplice alleanza poiché era un grande ammiratore del cancelliere tedesco Bismark e perciò attribuì all’alleanza un significato conservatore e autoritario.
Tuttavia, nel 1914, dopo il crollo dell’equilibrio internazionale, gli austriaci avevano agito d’impulso e senza consultare l’Italia, contrastando ciò che era previsto dal trattato istitutivo della Triplice alleanza.
L’opinione pubblica internazionale, che addossava a Vienna la responsabilità dello scoppio della guerra, finì per stimolare la voce di tutti quegli italiani che rifiutavano l’alleanza con gli imperi centrali perché inopportuna e dannosa per gli interessi nazionali.
La Triplice alleanza, inoltre, aveva un carattere difensivo ed i paesi che ne facevano parte erano obbligati ad intervenire solo in caso di aggressione subita, non provocata. Dal momento che fu l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia, il governo italiano di Salamandra, formatosi dopo la caduta di Giolitti, poté scegliere di non entrare in Guerra e di rimanere neutrale. Di fronte ad un opinione pubblica ostile alla guerra, il governo italiano uscì dalla Triplice alleanza accusando l’Austria di non aver rispettato i patti (3 agosto 1914).

GLI SCHIERAMENTI POLITICI: CONTRO LA GUERRA
Il sentimento pacifista fu molto forte nella società italiana. Le masse lavoratrici non avevano alcun interesse per i conflitti internazionali tra le potenze e pensavano che la guerra non li avrebbe procurato nessun beneficio. Tale orientamento si rifletteva nelle posizioni dei principali soggetti politici organizzati.
I liberali giolittiani non avevano nessuna fiducia nella guerra e reputavano l’Italia impreparata a sostenere uno sforzo così massiccio come la guerra.
Il movimento operaio e socialista confermava le posizioni pacifiste e internazionaliste. Le guerre, per loro, erano un conflitto tra le borghesie capitalistiche nazionali. L’internazionalismo proletario esaltava la solidarietà tra i lavoratori sfruttati di tutti i paesi, senza distinzione di nazionalità, perché la vera guerra da combattere è quella tra le classi, tra gli sfruttatori e gli sfruttati.
Per quanto riguarda i cattolici, la loro posizione di fronte alla guerra fu molto complessa perché in essa si mescolavano ragioni di principio e ragioni politiche.
Questo perché per principio, il cristianesimo ripugnava la guerra, specialmente se combattuta per interessi imperialistici ed economici. Tuttavia, dal punto di vista politico, l’Impero austro-ungarico era un baluardo del cattolicesimo sulla frontiera orientale su cui agiva la pressione degli ortodossi slavi e dei mussulmani ottomani. Proprio per il contrasto tra queste due ragioni, i cattolici videro nel neutralismo l’unica risposta praticabile.
Il pacifismo cattolico crebbe con il crescere del massacro, fino a quando, il 1° agosto del 1917 papa Benedetto XV condanna la guerra considerandola una “inutile strage”.

IL COMPOSITO FRONTE INTERVENTISTA: I DEMOCRATICI
Anche se la maggior parte della popolazione italiana era di schieramento pacifista, vi era una minoranza interventista in cui militavano intellettuali e uomini politici democratici e socialisti come Leonida Bissolati, Gaetano Salvemini, Cesare Battisti, Benito Mussolini e uomini apertamente conservatori come Enrico Corradini e Alfredo Rocco (fondatori della rivista “L’idea nazionale”).
Per l’interventismo democratico era in gioco una questione storica: portare al termine il processo di liberazione nazionale avviato nel secolo precedente e irradiare dei suoi valori non solo l’Italia, ma l’intera Europa. In questo modello progressivo, la Germania rappresentava il simbolo dell’autoritarismo, la negazione dei principi liberali. Gli interventisti democratici consideravano la guerra come un mezzo che opponeva la libertà, rappresentata dalle nazioni liberali e democratiche, e le barbarie, rappresentata dai regimi autoritari degli imperi centrali. Per i democratici, quindi, entrare in guerra doveva essere una scelta politica da compiere, seppur con la consapevolezza degli enormi sacrifici umani, per non rimanere una potenza minore al resto dell’Europa.
La “quarta guerra d’indipendenza” dava all’Italia l’opportunità di conquistare una posizione centrale nella politica mondiale. Del resto, dopo l’unificazione del Regno d’Italia e in seguito la terza guerra d’indipendenza, all’Italia mancavano ancora Trento e Trieste (“terre irredente”) per completare il territorio italiano.

L’INTERVENTISMO DEI NAZIONALISTI
L’obiettivo dell’interventismo nazionalista era quello di conquistare un “posto al sole” all’Italia e farla diventare una grande potenza, bramosa di gloria e di conquiste allo stesso livello delle grandi nazioni occidentali.
L’interventismo nazionalista, o conservatore, a differenza dell’interventismo democratico, concepiva la guerra come “arma” politica per stabilizzare l’ordine sociale e distogliere le iniziative rivoluzionarie oltre che come strumento per espandere il territorio nazionale. Guerra e rivoluzioni erano infatti antitetiche: se si voleva evitare una rivoluzione occorreva temprare lo spirito nazionale delle masse nell’esperienza suprema della guerra.
Nei primi mesi di conflitto, la cultura autoritaria e antidemocratica tipica del nazionalismo, spinse gli interventisti a sostenere gli Imperi centrali, col tempo, però, le posizioni filo-tedesche diminuirono e si rafforzò l’alleanza con l’Intesa.

LE PRESSIONI DEI DUE SCHIERAMENTI SUL GOVERNO ITALIANO
Mentre la maggior parte degli italiani era contraria alla guerra, la classe dirigente liberale seguiva con preoccupazione lo svolgersi della vicenda temendo che la scelta neutralista avrebbe escluso l’Italia dalla ridefinizione futura degli equilibri mondiali. A ciò si somma la pressione dei gruppi industriali italiani che avrebbero tratto grandi vantaggi economici con l’entrata in guerra dell’Italia.
Nei mesi compresi tra luglio 1914 e maggio 1915, le diplomazie dell’Intesa e degli Imperi centrali cercarono in ogni modo di convincere l’Italia ad intervenire. L’Intesa ebbe la meglio con il Patto di Londra del 26 aprile 1915. In base a questi patti, l’Italia avrebbe consolidato il possesso del Trentino e Tirolo cisalpino fino al Brennero, ottenuto i territori di Trieste, Gorizia, l’Istria fino al Quarnaro senza Fiume, la Dalmazia e Valona, ed il protettorato sull’Albania e il Dodecaneso. L’Intesa era in grado di soddisfare le aspirazioni massime dei nazionalisti italiani più radicali nonostante in quell’area del Mediterraneo orientale erano presenti territori di interesse inglese e francese.

L’ITALIA VERSO L’INTERVENTO
Quando il governo Salandra firmò il Patto di Londra, le posizioni delle maggiori forze politiche nazionali e l’orientamento pacifista dell’opinione pubblica non erano cambiati. Occorreva quindi costruire un consenso politico alla scelta interventista. A questa esigenza politica diede risposta e sostegno l’iniziativa dei nazionalisti e dei democratici interventisti che avvertivano un cambiamento di clima da parte delle classi dirigenti liberali a considerare l’ipotesi dell’entrata in guerra.
Nella primavera del 1915 minoranze organizzate imposero le proprie convinzioni alla maggioranza attraverso una coordinata campagna propagandistica.
Con le radiose giornate di maggio del 1915, in cui le maggiori piazze delle città italiane si riempirono di militanti interventisti, si crearono le condizioni politiche migliori affinché il governo e la corona si schierassero al fianco dell’Intesa nonostante la controversia del popolo. Fu una vera e propria manipolazione politica per costruire un clima a favore della guerra. Si trattò di un precedente gravissimo perché per la prima volta una decisione di tale importanza veniva assunta al di fuori del Parlamento e contro l’opinione pubblica del Paese.

I24maggio1_0L GOVERNO DI GUERRA
Il vecchio Giolitti, di fronte agli avvenimenti delle giornate di maggio, rimase fermo nelle sue posizioni neutraliste. Tuttavia, la situazione stava cambiando rapidamente e lo stesso Giolitti, nonostante la maggioranza parlamentare contraria alla guerra, dovette riconoscere che il governo Salandra e il ministro degli esteri Sonnino stava modificando la posizione neutralista tanto che il 3 maggio il governo dichiarò nulla la Triplice alleanza.
Il 13 maggio Salandra diede le dimissioni, fortemente respinte dal re Vittorio Emanuele III. Vittorio Emanuele III voleva confermare la fiducia a Salandra, che salì nuovamente a capo del governo con i pieni poteri. Solo i socialisti rimasero fedeli alla propria linea pacifista e non-interventista, tutti gli altri, anche Giolitti, fecero proprio lo spirito patriottico e il 23 maggio l’Italia indirizzò un duro ultimatum all’Austria, dichiarandole guerra il giorno successivo. (24 maggio 1915)

Pubblicato da bmliterature

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