L’Unione Sovietica di Stalin

LA NASCITA E IL CONSOLIDAMENTO DELL’UNIONE SOVIETICA
La vittoria nella guerra civile e i buoni risultati della NEP (Nuova Politica Economica) diedero un ampio respiro alla Russia che nel 1922 venne ad assumere il nome ufficiale di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss).
La nuova fase fu sancita dal riconoscimento diplomatico internazionale dell’Urss e dalla leadership assunta con decisione nel movimento comunista internazionale.
Fin dal 1918 Lenin aveva perseguito le indicazioni contenute nelle Tesi d’Aprile nelle quali aveva indicato la necessità di costruire una nuova organizzazione socialista sulle basi della Seconda Internazionale, distrutta dall’avvento della Prima guerra mondiale. Occorreva creare una nuova Internazionale che non si limitasse a essere un semplice “Parlamento internazionale della classe operaia”, ma che ambisse a diventare un vero e proprio “partito internazionale dell’insurrezione” come strumento operativo e politico della rivoluzione mondiale.
La sconfitta della rivoluzione in Germania non aveva modificato questa impostazione strategica, bensì rafforzò la necessità di consolidare attorno all’Urss il fronte rivoluzionario. Nel marzo nel 1919 si celebrò il I congresso della Terza Internazionale comunista che si proponeva di abbandonare il parlamentarismo e la tendenza al compromesso, tipica dei partiti socialisti, e di respingere il sindacalismo rivoluzionario in favore di una maggiore disciplina sotto la guida del partito comunista leninista.
Al secondo congresso questa impostazione venne confermata e fu scritto un programma di 21 punti che condizionava l’ingresso nell’Internazionale: i partiti che volevano aderirvi dovevano accettare il “centralismo democratico” e riconoscere la leadership dell’Urss e del partito leninista. La frattura tra comunisti filo-sovietici e socialisti e socialdemocratici peggiorò sempre di più indebolendo nel complesso il movimento operaio internazionale in un momento di evidente ascesa fascista.
Nonostante i 21 punti, all’interno dell’Internazionale comunista rimanevano forti contrasti, specialmente per la Nuova politica economica che molti giudicavano un cedimento borghese e un compromesso inaccettabile. Queste tensioni furono messe a tacere dall’autorità di Lenin che bollò i critici della Nep come estremisti di sinistra.

LA MORTE DI LENIN E LA LOTTA PER LA SUCCESSIONE
In seguito alla scomparsa di Lenin, la fase di consolidamento dell’Urss e di crescita dell’economia subì una brusca interruzione.
La scomparsa prematura del leader bolscevico rappresentò un duro colpo per la appena nata Unione Sovietica perché Lenin lasciò dietro di sé molti problemi rimasti irrisolti riguardo la dittatura del proletariato, la Nep e i ruoli del partito.
Oltre alle diverse questioni politiche ed economiche vi era il problema della successione che ebbe come protagonisti due tra i suoi maggiori collaboratori: Lev Davidovic Bronstein, detto Trockij (il capo dell’Armata rossa), e Josif Visarionovic Dzugasvili, detto Stalin (il segretario del comitato centrale del partito comunista). I due dirigenti bolscevichi tra di loro sono totalmente diversi sia dal punto di vista politico che da quello antropologico e culturale.

TROCKIJ: LA RIVOLUZIONE MONDIALE PERMANENTE
Trockij era un intellettuale raffinato originario dell’Ucraina che è stato a capo dell’armata Rossa portandola alla vittoria durante la guerra civile russa. Per lui bisognava far uscire l’Urss dall’isolazionismo internazionale con l’esportazione della rivoluzione negli altri paesi (mondializzazione della rivoluzione russa). La rivoluzione mondiale permanente era una condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’esperienza sovietica e per evitare che i processi di burocratizzazione degenerassero in una forma di nuovo dispotismo totalitario.
Per quanto riguarda la politica economica, Trockij riteneva di porre fine alla Nep di Lenin per realizzare una politica economica basata sull’industrializzazione forzata guidata in modo centralistico dallo Stato.

STALIN: IL SOCIALISMO IN UN SOLO PAESE
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Stalin era un uomo meno acculturato rispetto a Trockij, ma vantava un’abilità politica di rivoluzionario di professione in quanto fin da giovane prese parte del partito bolscevico mostrando grandi capacità organizzative di stringere rapporti di potere e alleanza.
Come Trockij, anche Stalin riteneva che bisognava dar vita ad un’industrializzazione forzata considerando la Nep un pericolo per l’Urss.
Al contrario di Trockij, Stalin pensava che, in seguito alla sconfitta e il ripiegamento del movimento rivoluzionario,  bisognava prima realizzare a pieno la rivoluzione in Russia ed in un secondo momento esportarla al resto d’Europa.

STALIN HA LA MEGLIO
Stalin ebbe la meglio su Trockij grazie alla rete di alleanze che riuscì a creare all’interno del partito bolscevica. Riuscì persino a portare dalla sua parte i vecchi alleati di Lenin.
La lotta per il potere fu senza limiti tanto che Trockij, insieme ad altri due dirigenti del partito, vennero cacciati ed esiliati. Alla fine Stalin riuscì a vincere la lotta e diventare il padrone indiscusso dell’Unione Sovietica.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE FORZATA
Per par sì che la “costruzione del socialismo in un solo paese” andasse a buon fine Stalin riteneva che la produzione economia della Russia dovesse ritornare come quella precedente alla Prima guerra mondiale raggiungendo così una propria autonomia economica. L’Unione Sovietica doveva mettersi sullo stesso piano delle altre nazioni europee, anche dal punto di vista militare per poter sostenere una possibile aggressione. Il persistere dell’arretratezza industriale, per Stalin, avrebbe condannato l’Urss a morte certa, ecco perché decise di accelerare il processo di industrializzazione. Questa industrializzazione era un’impresa quasi impossibile che secondo Stalin poteva essere compiuta solo da uno stato forte in grado di disporre tutti gli strumenti conoscitivi ed operativi necessari a compiere in pochi anni ciò che gli altri paesi avevano realizzato in alcuni decenni e secoli.

LA PIANIFICAZIONE INTEGRALE DELL’ECONOMIA E IL RUOLO DEL PARTITO
Per eguagliare in breve tempo le potenze economiche capitaliste, Stalin elaborò dei piani quinquennali.
Allora, dal 1928, l’economia sovietica venne pianificata dal Gosplan, una commissione governativa che stabiliva gli obiettivi di crescita da darsi e le opere da realizzare nell’arco di 5 anni, decidendo anche quali risorse utilizzare e dove reperirle. Al posto della “mano invisibile” del mercato teorizzata da Smith, adesso agiva la “mano ben visibile e onnipotente” dello stato. La pianificazione completa dell’economia diede dei risultati controversi. Il sistema industriale, specialmente l’industria pesante e le infrastrutture, conobbero uno sviluppo notevole, soprattutto se si fa il confronto con quello arretrato dell’anteguerra. In particolare, negli anni trenta, mentre i Paesi occidentali erano investiti dalla profondissima crisi innescata dal “giovedì nero” di Wall Street, il modello d’industrializzazione sovietico si rivelò vincente. Tuttavia, oggi sappiamo che molti dei dati, tra cui il tasso di crescita del prodotto interno lordo, vennero in realtà distorti a fini propagandistici.
La pianificazione economica favorì la burocratizzazione della vita politica ed amministrativa. In questo nuovo contesto storico, la distinzione fra stato e partito, tra funzionari pubblici e dirigenti comunisti, si assottigliò progressivamente fino a scomparire completamente. Ormai il partito comunista si era completamente integrato all’interno dello stato.

LA FINE DELLA NEP E LA QUESTIONE DEI KULAKI
Dal punto di vista economico Stalin si propose due obiettivi essenziali: superare la Nep e procedere all’industrializzazione forzata del paese concentrando tutti gli sforzi nell’industria pesante (metallurgica, siderurgica, chimica, delle armi). In entrambi i casi la questione da risolvere era quella dei contadini ricchi, i kulaki.
Nikolaj Bucharin considerava l’arricchimento dei contadini la condizione per l’industrializzazione, perché solo un’agricoltura prospera ed evoluta avrebbe potuto creare la domanda di beni manufatti per l’industria sovietica. Stalin, invece, pensava che si dovesse procedere ad un trasferimento forzato di risorse dall’agricoltura all’industria, sottraendole alla classe dei kulaki. Nel 1928, nonostante i buoni risultati, Stalin decise di abolire la Nep e riprendere la collettivizzazione forzata dell’agricoltura.
Nei primi cinque anni, con la collettivizzazione forzata, lo stato sovietico incassò il 12-14% della produzione agricola del Paese, quota che raddoppiò i successivi cinque anni. Tra gli effetti disastrosi di questa politica economica vi fu una terribile carestia che uccise 6 milioni di persone, soprattutto in Ucraina. Il regime non intervenne per risolvere la carestia, anzi, la sfruttò per fiaccare la resistenza dei contadini e favorire l’urbanizzazione. Anche se i kulaki e le masse contadine cercarono di resistere o si rifiutavano di consegnare i raccolti, la repressione staliniana si scatenò ferocemente bloccando ogni forma di resistenza. Il mondo contadino subì una profonda trasformazione e metà dei contadini sovietici si trovò inserita nelle aziende agricole di stato (kolkhoz e sovchoz), l’altra metà si trasferì in città lavorando per l’industria di stato.
La collettivizzazione non fu un successo e la produttività dell’agricoltura sovietica crollò tanto che l’Urss dovette dipendere, per tutta la sua storia, dalle importazioni estere.

LE GRANDI PURGHE
Dopo l’eliminazione dei kulaki, la dittatura di Stalin assunse presto i connotati di una tirannia spietata. La gestione ultra-centralistica del potere innescò una spirale perversa e inedita. Chiunque venisse anche solo sospettato di avere una posizione personale veniva eliminato, anche fisicamente. Il partito incoraggiò un vero e proprio culto della personalità, che fece di Stalin una sorta di figura semi-divina. Si trattò di una involuzione dispotica che indebolì lo stato sovietico, instaurando un periodo di terrore diffuso reso ancora più diffuso dalla creazione della Gpu (polizia segreta di stato). Numerosi furono gli ufficiali di esercito e dirigenti della pianificazione industriale ad essere processati e condannati. Si calcola che le purghe abbiano causato mezzo milione di fucilati e circa cinque milioni di deportati nei Gulag.

Pubblicato da bmliterature

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