Petrarca – Le opere “umanistiche”

Francesco_Petrarca00PETRARCA E IL MONDO CLASSICO
Petrarca a differenza di Dante ha ormai una coscienza chiara del distacco tra il mondo antico e quello a lui contemporaneo, per questo non assimila più il mondo antico al presente (nonostante rimangano residui di interpretazione allegorica), ma sente il bisogno di coglierlo nella sua fisionomia più autentica, liberandolo da quella deformazione che ad esso l’“età di mezzo” aveva sovrapposto.
Nasce di qui l’attività filologica di Petrarca. Innanzitutto egli sente la viva curiosità di conoscere anche quegli autori e quelle opere che la cultura medievale aveva lasciato ai margini, facendoli sprofondare nella dimenticanza. Perciò durante i suoi numerosi viaggi in Europa e in Italia fruga nelle antiche biblioteche, in cerca di quei testi di cui si era perduta la tradizione (testi latini, perché Petrarca non giunse mai a padroneggiare il greco). Arriva così a scoperte di grande rilievo, come quella delle epistole di Cicerone all’amico Attico, che gli forniscono l’impulso a ordinare le proprie epistole latine sul modello ciceroniano. Ma la venerazione che egli sente per i classici si estende anche alla correttezza dei manoscritti che hanno trasmesso le opere; perciò compie un accurato lavoro di confronto tra quelli che può consultare, per emendarli dagli errori dei copisti; parallelamente si preoccupa di annotare i testi, con chiarimenti storici ed eruditi su persone, luoghi, fatti, con rimandi a passi di altri autori. Non solo ma, grazie alla sua fìtta rete di corrispondenti italiani ed europei, mette in circolo il suo lavoro nella cultura contemporanea.

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Con Petrarca, insomma, vediamo prendere le mosse un’attività destinata ad assumere presto un posto centrale nella cultura della nuova età, la filologia. Il lavoro filologico di Petrarca fornirà un esempio e un modello alle generazioni successive degli umanisti. La coscienza del distacco è all’origine dell’atteggiamento con cui Petrarca si rapporta agli scrittori classici. In essi egli scorge un modello insuperabile di sapienza (anche nella direzione di una vita cristiana, Le opere religioso-morali), di magnanimità nell’azione, di perfezione stilistica; perciò guarda ad essi con un misto di venerazione e di struggente nostalgia, perché sente quanto quel modello sia lontano dalla realtà presente. Attraverso la lettura assidua delle loro pagine nasce in lui il bisogno di emularli, di conformare al loro esempio sia la sua vita quotidiana sia la sua attività letteraria. La nostalgia genera in lui il bisogno di trasportarsi idealmente in mezzo ad essi, di divenire loro contemporaneo, astraendosi dall’epoca meschina e barbara in cui gli è toccato vivere. E’ significativo che le lettere dell’ultimo libro delle Familiari siano indirizzate ai grandi dell’antichità, come se fossero ancora viventi e fosse possibile colloquiare direttamente con loro.

LE RACCOLTE EPISTOLARI
Questo culto dei classici informa, in generale, tutte le raccolte epistolari di Petrarca. Lo scrittore attese lungo tutto l’arco della sua vita a raccogliere, ordinare, rielaborare le sue lettere in prosa latina, indirizzate di norma (salvo l’esempio sopra citato) ad altri intellettuali suoi amici, o a grandi signori o a dignitari ecclesiastici. Ne risultano ventiquattro libri di epistole Familiari e diciassette di Senili, risalenti agli anni più tardi. A parte si collocano le lettere Sine nomine (Senza nome), così chiamate perché, per ragioni di prudenza, non viene indicato il nome del destinatario, in quanto contengono un’aspra polemica contro la corruzione della Chiesa contemporanea. Al di fuori di queste raccolte ordinate dal poeta stesso si collocano le Varie, lettere rintracciate e riunite da amici e collaboratori. Già nella stesura originaria le lettere non erano solo colloqui confidenziali con i destinatari, ma veri e propri componimenti letterari, squisitamente elaborati. Nel raccogliere e nel rivedere tutto il materiale per la pubblicazione, Petrarca lo sottopone ad un’ulteriore elaborazione, togliendo ogni riferimento troppo preciso a fatti, persone, luoghi, sostituendo ai nomi reali di persona degli pseudonimi e a quelli di luogo perifrasi classicheggianti, trasformando situazioni e sentimenti sul modello di quelli incontrati nei testi classici, specialmente nelle epistole ciceroniane.
slide0048_image087La conseguenza è che le lettere petrarchesche non sono documenti immediati di vita vissuta, ma trasfigurazione letteraria della realtà. C’è bensì in esse un’autentica sostanza autobiografica, il bisogno di esplorare la propria interiorità, di studiarsi e di confessarsi; ma questa materia originaria, per quanto torbida e aggrovigliata, arriva ad esprimersi solo attraverso il filtro dei modelli classici, attraverso le forme composte e armoniche da essi consacrate.
Mediante questa trasfigurazione letteraria, costruendo sul modello dei classici il proprio ritratto, Petrarca vuole fissare un’immagine ideale del letterato e del dotto, che abbia un valore esemplare. Questa immagine costituirà poi il modello dell’intellettuale per secoli, sino alle soglie dell’età contemporanea (e non si può dire che sia del tutto scomparsa ai giorni nostri). Gli elementi che la compongono sono: la fede in mia cultura disinteressata, che deve solo tendere a raffinare e nobilitare l’animo; il fastidio per le attività pratiche e gli affari quotidiani, che distraggono dalla vera vita, che è quella dello spirito; il sogno idillico di un’esistenza quieta ed appartata, tutta dedicata ai libri, lontana dal tumulto delle città, nella solitudine di un ameno paesaggio agreste, propizio alla meditazione e alle riposate letture; ma, per contro, anche la consapevolezza del fatto che l’elevatezza intellettuale e morale del dotto devono assumere una funzione pubblica, per cui il letterato deve proporsi come esempio, e dall’alto della sua saggezza e della sua dottrina deve ammonire, consigliare, offrirsi come guida al proprio tempo.
Se da un lato gli epistolari forniscono la chiave per capire gli aspetti fondamentali della personalità di Petrarca, dall’altro sono anche preziosi a chiarire il gusto letterario che è sotteso a tutta la sua opera. La legge che presiede alla composizione di queste pagine, si è visto, è quella della selezione e dell’idealizzazione: in primo luogo i particolari della vita quotidiana sono accuratamente selezionati, con l’esclusione di tutto ciò che è troppo realistico, concreto o dimesso; in secondo luogo tutti gli aspetti della vita subiscono una costante trasfigurazione letteraria, che conferisce ad essi dignità e nobiltà. Ebbene, selezione e idealizzazione sono i princìpi costitutivi del classicismo. Torna ad imporsi nell’opera latina di Petrarca quella rigorosa separazione degli stili che era propria della cultura antica e che il Medio Evo con Dante aveva ribaltato. Ad intendere appieno il senso e la portata di questa restaurazione dell’ideale letterario classico perpetuata da Petrarca, basti pensare all’impavida mescolanza di sublime e quotidiano, di nobile e di turpe che caratterizzava la Commedia dantesca, in cui potevano convivere il tripudio degli angeli nell’Empireo e lo sterco di Malebolge: con Petrarca tutta una zona della realtà, quella bassa e quotidiana, viene di nuovo esclusa dalla letteratura, dove trova diritto di cittadinanza solo ciò che è più nobile ed elevato. Anche in questo Petrarca anticipa il gusto che sarà del Rinascimento. E non sarà un caso se nel Cinquecento il petrarchismo, l’imitazione di Petrarca, sarà un aspetto dominante.
Tuttavia, al di là di questa nitida e levigata forma classica, si colgono anche nelle epistole latine le irrequietudini che costituiscono la sostanza della psicologia petrarchesca che erano alla base dell’accanita ricerca interiore delle opere religiose. Anche qui il poeta è spesso chino su se stesso, a scandagliare contraddizioni, oscillazioni, debolezze, tormenti. Esemplare è la lettera in cui è narrata l’ascesa al Monte Ventoso, dove lo scrittore, con procedimenti non dissimili da quelli del Secretum, mette a nudo la sua incapacità di distaccarsi dai beni del mondo, e al tempo stesso la tendenza a mascherare ai suoi stessi occhi colpe e debolezze.

L’AFRICA
africa-petrarca-ottava-rima-insieme-testo-f6b38437-b31e-47d9-ac87-fb3964b1273eL’ideale classico si concreta significativamente anche nell’Africa. Si tratta di un poema epico in esametri latini, concepito a Valchiusa nel ’38 o nel ’39 e ripreso più volte negli anni senza mai essere portato a termine. A questo poema Petrarca pensava di affidare la sua fama presso i posteri. Con esso intendeva continuare idealmente la letteratura latina collocandosi a fianco dei grandi scrittori da lui tanto venerati. Argomento dell’opera è la seconda guerra punica, che il poeta pensava non fosse mai stata trattata dai poeti classici (ignorava l’esistenza delle Puniche di Silio Italico, poeta dell’età dei Flavi, I secolo d.C.). I modelli sono naturalmente latini: la materia è ricavata dalle Storie di Livio, ma moduli narrativi e stilistici, episodi e caratteri sono ispirati all’Eneide virgiliana. Il proposito che muove il poeta è esaltare la gloria e la grandezza di Roma, in particolare le gesta di Scipione l’Africano, il vincitore di Annibale. Ma accanto agli intenti epici, che derivano da un entusiasmo tutto letterario per il racconto delle gesta eroiche trovato nelle pagine degli storici e dei poeti antichi, e che si risolvono in generale in un’oratoria altamente intonata ed in un’enfasi celebrativa, compaiono altri motivi, più soggettivi e sofferti. E’ significativo l’episodio più famoso del poema, quello di Magone morente, sulle cui labbra compaiono, sia pur chiusi nell’armonia classicheggiante di concise sentenze, i temi più cari alla meditazione religiosa di Petrarca: la vanità delle cose umane, la vita che trascorre tra illusioni ingannevoli e continui travagli, l’inquietudine dell’uomo che non trova mai requie, e, al fondo di tutto, la morte, unica cosa certa tra tante apparenze, che solo insegna ciò che veramente vale. Persino la gloria di Roma, che tanto esalta il poeta, finisce per essere guardata dall’infinita distanza dell’eterno, che ribalta le prospettive del mondo terreno. In definitiva, come nelle opere di meditazione religioso-morale si afferma umanisticamente la fede nei valori della cultura e della bellezza formale, così, inversamente e complementarmente, i mesti accenti del pessimismo ascetico medievale risuonano in quelle opere che più direttamente sono ispirate agli ideali del classicismo. Le due tendenze sono in Petrarca sempre compresenti.

IL DE VIRIS ILLUSTRIBUS
Questa compresenza si può verificare anche in altre opere latine, a cui Petrarca contava di affidare la sua fama di dotto continuatore e restauratore della cultura classica. Il De viris illustribus (Gli uomini illustri) è un’opera per così dire storica, una raccolta di biografìe di illustri personaggi romani (Cesare, Scipione, Catone ecc.) concepiti contemporaneamente all’Africa (con l’aggiunta posteriore di biografie di personaggi biblici). Anche quest’opera è animata dall’intento di celebrare la grandezza di Roma sulle orme delle Storie di Livio e di altri storici latini; ma anche qui troviamo gli stessi spunti pessimistici, di ispirazione cristiana, sulla fugacità della gloria e sulla miseria della condizione umana. Inoltre il racconto storico si tinge spesso di colori soggettivi, perché lo scrittore proietta nei personaggi le sue inquietudini e i suoi dubbi.

Pubblicato da bmliterature

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