La Vita di Giuseppe Parini

Parini-GiuseppeGiuseppe Parino (che preferì più tardi modificare il proprio cognome in Parini) nacque nel 1729 a Bosisio, in Brianza, da una famiglia di modeste condizioni. Dopo i primi studi, a dieci anni fu condotto a Milano presso la prozia Anna Maria Lattuada, che, morendo poco dopo, nel marzo 1740, gli lasciò una piccola rendita annua, a condizione che divenisse sacerdote: così il giovane, pur senza vocazione, intraprese la carriera ecclesiastica. Nel 1754 fu ordinato sacerdote. Nel frattempo, nel 1752, a ventitré anni, aveva pubblicato una raccolta di liriche intitolata Alcune poesie di Ripano Eupilino (dove Ripano era l’anagramma di Parino ed Eupili il nome latino del lago di Pusiano, presso cui il poeta era nato), che contribuirono a farlo conoscere negli ambienti letterari e gli valsero l’ammissione all’Accademia dei Trasformati. Era questo uno dei centri più importanti della cultura milanese, in cui conveniva la nobiltà più aperta alle nuove istanze illuministiche, con posizioni però moderate, aliene dagli atteggiamenti polemici ed eversivi dell’Accademia dei Pugni dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria; posizioni che si riflettevano anche in campo letterario, in quanto i Trasformati erano sostenitori di una conciliazione tra le esigenze di una cultura moderna, civilmente impegnata, e la tradizione classica. Il giovane Parini incontrò così un ambiente culturale che rispondeva perfettamente ai suoi orientamenti ideologici e letterari.
Sempre nel 1754 entrò al servizio del duca Gabrio Serbelloni, come precettore dei figli. Il giovane intellettuale proveniente dai ceti inferiori era in certa misura inserito nell’ambiente nobiliare, sia pure in una posizione subalterna, e, dall’osservatorio del palazzo Serbelloni, poteva conoscere dall’interno il mondo dell’aristocrazia milanese, che di lì a poco avrebbe rappresentato, in modo satirico, nel Giorno (la sua opera più importante).
Il giovane abate di umili origini e di idee avanzate, convinto assertore del principio di uguaglianza, doveva nutrire un senso di fastidio e di risentimento per quel mondo nobiliare superbo dei suoi privilegi. In seguito a una discussione con la duchessa Maria Vittoria, nel 1762 si licenziò da casa Serbelloni, e l’anno dopo divenne precettore di Carlo Imbonati, il giovane figlio del conte Giovanni Maria (colui che aveva riportato in vita l’Accademia dei Trasformati), conservandone l’incarico fino al 1768.

Nel frattempo, oltre ad alcune odi di argomento civile, aveva pubblicato due poemetti satirici contro la nobiltà oziosa e improduttiva cioè il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765), che, per quanto usciti anonimi, furono subito riconosciuti per suoi e gli valsero grande prestigio. Il governo austriaco della Lombardia, impegnato nelle riforme promosse dall’assolutismo illuminato dell’imperatrice Maria Teresa, vedeva con favore gli intellettuali di orientamento avanzato e tendeva ad offrire loro incarichi di responsabilità. Così il conte di Firmian, governatore di Milano, nel 1768 affidò a Parini la direzione della semiufficiale “Gazzetta di Milano“, poi l’anno successivo lo chiamò alla cattedra di “belle lettere” nelle Scuole Palatine (le scuole pubbliche imperiali istituite da Maria Teresa).
Nel 1773 tali scuole si trasferirono nel palazzo di Brera, già proprietà del disciolto ordine dei Gesuiti, e nel 1776 ad esse si aggregò l’Accademia di Belle Arti. Parini si trovò così a contatto con artisti quali il pittore Andrea Appiani e l’architetto Giuseppe Piermarini, che seguivano il nuovo orientamento neoclassico, ispirato a criteri di armonia, perfetta proporzione, “nobile semplicità” e “calma grandezza”, secondo i princìpi enunciati  dall’archeologo Johann Joachim Winckelmann (1717-68). Questa vicinanza agli artisti neoclassici fu decisiva per gli orientamenti poetici della sua ultima stagione. Oltre alla cattedra Parini ebbe vari altri incarichi ufficiali, sinché nel 1791 fu nominato sovrintendente nelle scuole di Brera. Parini veniva così a coincidere, al pari di Pietro Verri e Cesare Beccaria, con la figura tipica dell’intellettuale illuminista milanese, che era direttamente al servizio dello Stato riformatore ed assumeva incarichi ufficiali nell’amministrazione.

Come gli altri intellettuali progressisti milanesi Parini subì però il trauma delle riforme radicali del successore di Maria Teresa, Giuseppe II, che, in nome di un’astratta furia razionalistica, sconvolse tutta una serie di istituzioni, imponendo direttive autoritarie sull’organizzazione della cultura. Il poeta, ferito e deluso nelle sue più profonde convinzioni, si ripiegò su se stesso e si allontanò dall’attività intellettuale militante. Scoppiata la Rivoluzione francese nel 1789, in un primo tempo, come altri intellettuali riformatori, la vide con favore e speranza, come realizzazione dei principi illuministici di libertà ed eguaglianza, ma poi, dopo gli eccessi autoritari e sanguinari del Terrore, assunse posizioni sempre più negative.
Con l’ingresso dei Francesi a Milano nel 1796 fu chiamato a far parte della Municipalità, in una commissione che si occupava della religione e dell’istruzione pubblica. Ben presto però sorse un dissidio tra la commissione e l’indirizzo generale della Municipalità, e Parini fu allontanato. Il poeta allora, ormai vecchio e di malferma salute, si ritirò in un isolamento sdegnoso. Quando nel 1799 gli Austriaci tornarono a Milano, scatenando la repressione contro chi si era compromesso con il governo rivoluzionario, Parini per il suo prestigio fu rispettato. Morì pochi mesi dopo, il 15 agosto. Poche ore prima della morte scrisse un sonetto, Predaro i Filistei l’arca di Dio, in cui, con immagini bibliche, lodava Dio di aver restituito Milano all’Austria, ma ammoniva anche i vincitori a non compiere nuove rapine e nuovi scempi, dopo quelli perpetrati dai Francesi.

Pubblicato da bmliterature

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