Il rapporto tra Parini e gli illuministi

Parini-GiuseppeGià dal ritratto biografico emerge la figura di un intellettuale impegnato nella battaglia civile, teso a combattere, in nome del progresso e della ragione, storture che affliggono la realtà contemporanea, a diffondere idee nuove che migliorino la vita sociale e giovino al bene comune. L’opera letteraria di Parini appare quindi in sintonia con il clima riformistico instaurato dall’assolutismo illuminato di Maria Teresa D’austria. Tutto il movimento illuministico lombardo risponde con fervore alla politica del governo austriaco, e gli intellettuali Pietro Verri e Cesare Beccaria, si impegnano in prima persona, assumendo cariche di grande responsabilità nell’amministrazione dello Stato. Parini, membro di varie commissioni governative, può a buon diritto essere collocato nell’ambito di questa intellettualità avanzata, illuministica e riformatrice. Tuttavia i suoi rapporti con l’Illuminismo in generale e con gli ambienti illuministici lombardi in particolare, necessitano di un’analisi più dettagliata, che metta in luce le peculiari posizioni del poeta.

Problematico è innanzitutto il suo atteggiamento verso l’Illuminismo francese. Parini ne respinge con forza le posizioni antireligiose ed edonistiche dei filosofi francesi. E’ vero che è ostile a ogni forma di fanatismo religioso, giudica negativamente la Controriforma, ritiene inutili le guerre di religione, bolla come intollerabile barbarie i roghi di ebrei e di eretici, si scaglia contro l’oscurantismo degli ecclesiastici che “s’oppongono allo avanzamento delle umane cognizioni”; per certi aspetti è persino vicino al deismo illuministico.
Tuttavia crede profondamente nella religione, sia come indispensabile freno allo scatenarsi delle passioni umane, sia come rivelazione del significato ultimo dell’esistenza umana e come garanzia di salvezza. Perciò ritiene che le teorie libertine dei philosophes siano estremamente pericolose per la convivenza sociale degli uomini e per la salute della loro anima, e pronuncia contro di esse un’aspra condanna.
D’altro canto, però, se respinge indignato le posizioni antireligiose dell’Illuminismo francese, di esso accoglie con favore i principi egualitari: crede nell’eguaglianza naturale di tutti gli uomini, nella necessità di riconoscere a ogni individuo, a prescindere dalla classe sociale, una pari dignità umana. A queste idee egualitarie si connette l’umanitarismo, l’amore per l’umanità, lo sdegno per tutto ciò che offende l’uomo e provoca in lui umiliazione e sofferenza, la convinzione che dovere fondamentale di ogni uomo è la solidarietà.

huberDa questo nucleo di idee scaturiscono le posizioni di Parini nei confronti della nobiltà. Il poeta critica duramente la classe aristocratica in quanto è oziosa e improduttiva: innanzitutto sul piano economico, poiché si accontenta di sperperare le ricchezze invece di adoperarsi ad accrescere la ricchezza comune; poi sul piano intellettuale, poiché i nobili non dedicano il loro ozio a coltivare studi che servano all’avanzamento della cultura; infine sul piano civile, poiché non si curano di ricoprire cariche e magistrature che siano utili al bene pubblico. Eloquente è la lapidaria definizione del “giovin signore” data nel proemio del Vespro: colui “che da tutti servito a nullo serve”.
Questo ozio si accompagna poi all’immoralità dei costumi: Parini si scaglia soprattutto contro l’uso del “cavalier servente”, che non è altro se non una legalizzazione dell’adulterio, che distrugge uno dei valori ai suoi occhi più sacri, la famiglia. Nel Dialogo sopra la nobiltà, che si svolge tra due defunti, un poeta e un nobile, lo scrittore sottolinea come la nobiltà abbia avuto origine dalla violenza e dalla rapina. Tuttavia Parini riconosce che in epoche passate la nobiltà aveva avuto una funzione sociale: difendere la patria in guerra, rivestire le magistrature e dedicarsi agli studi. Tali funzioni venivano in certo qual modo a cancellarne il peccato d’origine. Ciò che muove il suo sdegno è la decadenza attuale della classe aristocratica, il fatto che essa abbia abbandonato queste attività utili.
Parini è ostile alla nobiltà in sé, ma solo alla sua degenerazione, e non auspica affatto l’eliminazione di quella classe, ma al contrario propone una forma di rieducazione che la riporti ad assumere il ruolo sociale che le compete. Socialmente e politicamente Parini è quindi un moderato riformista lontano dalle posizioni ben più duramente critiche di un Pietro Verri; anzi, nella sua polemica antinobiliare si trova perfettamente allineato con la politica del governo illuminato di Maria Teresa, che combatte il perdurare dei privilegi feudali e punta ad una rigenerazione dell’aristocrazia.

Anche rispetto al gruppo illuministico lombardo che faceva capo al “Caffè” numerosi erano i punti di distacco. Innanzitutto Parini non condivideva, sul piano filosofico e culturale, il cosmopolitismo di quegli intellettuali, ferventi ammiratori degli illuministi francesi: aveva il timore che l’assorbimento indiscriminato della cultura francese snaturasse i caratteri originari della cultura italiana e compromettesse la purezza della lingua. Sul piano letterario gli uomini del “Caffè” respingevano il classicismo tradizionale in nome di una letteratura di “cose” e non di “parole”, di una letteratura tutta immediatamente asservita all’utile, alla diffusione dei “lumi”, che pertanto doveva bandire ogni purismo ancora ispirato ai principi della Crusca ed essere pienamente libera nello scegliere le parole che fossero più adatte ad esprimere i concetti. Parini invece era rigorosamente fedele ad un’idea classica della letteratura ed era animato da un vero e proprio culto dei modelli antichi e classici.

Proprio del gruppo del “Caffè” era anche il culto della scienza: si riteneva che dalla diffusione delle conoscenze scientifiche moderne, della chimica, della biologia, della fisica, scaturissero il progresso e il miglioramento della vita dell’uomo e che ne potesse derivare infallibilmente la pubblica felicità. L’entusiasmo per la scienza è tipico della cultura settecentesca. Anche Parini apprezza le scoperte scientifiche ed è convinto che siano fonte di progresso e di benessere per l’umanità, però è urtato dal fatto che la scienza sia diventata una moda, una mania frivola di salotti aristocratici e di dame oziose. Non solo, ma è ostile ad una riduzione totale della letteratura a veicolo di conoscenze utili, in vista di fini pratici. Anch’egli è convinto che la letteratura debba essere utile: lo afferma nel Discorso sopra la poesia, uno dei documenti più importanti della sua poetica.
Parini riprende il classico precetto oraziano che invita a “mescolare l’utile al dolce“, riempiendolo di un nuovo significato illuministico, in quanto intende l’utile come strumento di una battaglia per risolvere concreti problemi della realtà contemporanea. Tuttavia l'”utile” per lui non può mai andar disgiunto dalla poesia concepita secondo il senso altissimo della dignità formale che è proprio dei classici. La totale riduzione utilitaristica della poesia, trasformata in semplice veicolo di cognizioni scientifiche a fini pratici, incontra dunque la sua ferma ostilità.

Un ultimo terreno di scontro con gli illuministi lombardi è quello economico. Il gruppo del “Caffè” era forte sostenitore del commercio e dell’industria, e riteneva che solo il loro sviluppo potesse garantire il progresso e il benessere del popolo. Parini invece era vicino alle teorie della scuola fisiocratica, che vedeva nell’agricoltura l’origine della ricchezza delle nazioni e della moralità pubblica, in quanto fonte di una vita semplice, sana e felice; pertanto il poeta guardava con preoccupazione e ostilità l’estendersi incontrollato dei commerci, che poteva incrementare il lusso e la corruzione dei costumi.
Parini si rivela ideologicamente molto più moderato degli illuministi del “Caffè”, più vicino alle direttive del governo austriaco. Effettivamente il commercio era il fattore che poteva condurre ad una rapida trasformazione della società, ad una modernizzazione in tutti i campi. Il commercio e l’industria portavano alla ribalta classi nuove, più dinamiche e intraprendenti, e creavano una nuova mentalità in ogni campo, nel vivere sociale come nella cultura. Se si pensa invece che in Lombardia la maggior parte delle proprietà agricole era nelle mani della nobiltà e della Chiesa, si può capire come le odi dell’agricoltura innalzate da Parini, si risolvessero oggettivamente in un appoggio alle forze sociali più conservatrici. Sfuggiva a Parini il senso della battaglia combattuta da Verri e Beccaria a favore della nascita di una nuova società in cui la borghesia fosse il centro propulsore e innovatore.

Pubblicato da bmliterature

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